ad alberi dedicati
da Sinistro Crudeli scritti
La rovina del cipresso
Pur stando in compagnia di frati miei
non potei guarir la melanconia;
ed ora che in nuovi e bei campi andrei,
non riesco a discostarmi da 'sta via.
Misi le radici in un sacro loco,
ove riposa la gente più cara;
e con un piede raggiungevo un poco
d'un'anima pia la spoglia bara;
ma dai nembi – a punirmi del reato –
scese una folgore, che indelicata
il tronco e le radici ha separato.
Ora piango la sorte sfortunata:
a terra caddi e ancora a terra stesi
rami di cipresso restano offesi.
Amo l'acqua, donna fredda e splendente;
l'algida blandizia m'è necessaria,
perché sol vicino ad essa so stare
e mai da lei io mi vorrei partire.
Questa mia supplice chioma cadente
d'osannar limpidi specchi non varia,
che tanto patisce il lor poco amare
e tant'è grata pe' il loro nutrire.
Potessi sol sollevar una fronda,
ché sbadigliando la mestizia mia
di cotanto bene plauderei il cielo;
ma quieto è lo scirocco e scarsa l'onda,
così piango le foglie sulla scia
di mia dama sul cristallino velo.
Preziosa veste son usa portare
povera d'uso, materia di vanto,
casacca di spugna che chiude rare
bocche da sete di nobile canto.
Avide mani sinistre rubano
tenera buccia che timida indosso:
di coltelli armate lente tagliano
l'unica gloria cresciutami addosso.
Della mia pelle sigilli si fanno
per tanti corpi di vetro pregiato,
buoni per curare dell'aria il danno;
ma rosso il corpo se n' resta segnato,
e quando l'altri trovano l'ebbrezza
io, rimasta spoglia, gelo alla brezza.
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