sabato 5 gennaio 2013

Esilio


Sono in esilio nella steppa.
Una persona non si conosce prima d’essersi gettata tutto o quasi alle spalle: amici e famiglia e appartenenze varie.

Per chi non fosse mai vissuto lontano da casa per più d’un mese vorrei porre l’accento su una cosa molto significativa: i rapporti sociali cambiano. All’abitudine si sostituisce la sorpresa e alle banalità la nostalgia e sovrano regna il ricordo. I giorni si fanno memorabili proprio perché ombre di normalità passate – quando qualcosa termina tutto ciò che vi somiglia pare risplendere.
Tutte le persone che si frequentano per abitudine o interesse scompaiono e si scoprono gli affetti più saldi – se una persona non ti interessa te ne puoi anche dimenticare il nome.

I piedi toccano le pietre della mia prigione nella steppa e gli occhi si aprono a coglierne l’aria differente e le mani si stringono nervosamente sulla sacca; in quell'istante realizzo d’essere solo. Allora un brivido scuote via le allucinazioni e m’avvio verso casa.
Ovviamente non sono solo per davvero ma il nido è altrove. Le giornate passano come sogni e perdono consistenza.
Poso borse e zaini in camera e poggio lo sguardo sul letto nell’altra camera – abitualmente vuoto – e m’appresto ad immergermi nella vita che m’aspetta.
Ed è camminando lungo le rive che mi sovviene che mai ho visto tanto il mare.

Il treno diventa una metafora. Una volta salito non sei né qui né lì e non sei né a casa né in terra straniera. Precisamente questo è il sentimento dell’esilio.
Vivi ripensando al luogo da dove vieni. A quel posto che ami. Ma ti trovi in un posto che non ti è comunque estraneo. Mirabili contraddizioni dell’essere umano.

Lentamente i piedi s'impossessano della terra e la pelle dell’aria e gli occhi del cielo e lo spirito impara ad amare e riconoscere l’intima bellezza di questa nostra prigione, le sue scale, le sue salite e discese, connubio tra mare e montagna.

Un aneddoto più che insignificante: confesso d’essere rimasto colpito dalla scomparsa di un’impalcatura da uno stabile qualunque della mia via una volta finiti i lavori di ristrutturazione. Tutte le fredde mattine in cui vi sono passato sotto perlopiù correndo e tutti i giri per far passare l’ombrello e gli improperi quando ci sbattevo contro sono svaniti in pochi giorni.

Analoga sensazione provo anche se più venata di malinconia quando odo di lavori nella mia città natia e nelle zone che mi videro crescere.
E così una fitta strana al cuore mi prendo ogni volta che arranco come un vecchio treno in disuso dalla stazione a casa mia. Su una salita impervia quanto un vago sentimento di nostalgia.

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