mercoledì 6 febbraio 2013

Matilde e le origini.




Grandi ideali per piccoli uomini.
Nani sulle spalle dei giganti ci dicono.
Guardiamo i giganti.
Ci esercitiamo solamente ad essere piccoli, ci ammaestrano ad ammirare i giganti.
Ma non ci dicono che i giganti son nati piccoli.
E noi qui costretti ad essere aridi.
Beviamo sabbia e crediamo di esserci dissetati.
Comizi di piazza al bar, letteratura al bar.
Al bar risolviamo la crisi, sfamiamo il terzo mondo.
Al bar sono disilluso, capisco la dittatura e la abbatto anche.
Al bar il debole vince sempre.
La minoranza sbaraglia la maggioranza corrotta.
Condanno il pedofilo disprezzo il politico, sgonfio l'affarista, traduco la Bibbia e sono il Messia.
Risorgo pure il giorno dopo perché abbatterò altri dittatori comodamente seduto.
Sento il profumo del successo e la gioia delle mie vittorie.
Sarà un caso……ma i bar stanno chiudendo.

Matilde dunque, raggiunta quota mille, poteva ora permettersi una bella vacanza. La montagna per lei era la destinazione da preferire al mare. Meglio il deserto, l'assenza di automobili e la cura di ciò che il cuore ha da condividere. Quell'anno però qualcosa non era andato per il verso giusto. La montagna, quella aspra, c'era. Anche i paesaggi giusti c'erano e anche gli amici. La sera però qualcosa ribolliva dal profondo dell'intestino e forse il perché già lo conosceva. La residenza prescelta per la vacanza era un qualcosa che assomigliava ad un abuso edilizio in mezzo al bosco. Il superficiale aveva vinto anche in quel posto, forse, e allora non si sapeva che il proprio corpo è il protagonista. Guidati da paesaggi sicuri, incontaminati, semplicemente belli, i corpi reagiscono di conseguenza producendo buon umore e, per dirla alla Peter Pan, una quantità innumerevoli pensieri felici. Quei pensieri in quel posto, dove il cemento aveva vinto e soffocato i larici, diventavano turbolenze intestinali. La sera Matilde decise di rifugiarsi nella scrittura e subito il cuore iniziò ad attingere da quella fonte di passione che era rimasta vicino al suo paese. Forse allora il cemento non aveva vinto. La montagna sapeva ancora far sorridere nonostante tutto. Matilde finito di scrivere doveva andare a sorridere nuovamente, di nuovo saggia e consapevole che al cuor non si comanda. Ecco un resoconto di ciò che aveva prodotto, legata a doppio filo con il suo paese natale.




"Ogni giorno nasco ad Altavilla, paese non più di provincia data l'unicità sterminata di complessi residenziali che lo collegano alla città. Ogni giorno muoio ad Altavilla, paese scarico di storia, gregario, destinato insomma a far dormire i campioni per poi mandarli a vincere dove i palazzi contano. Io ci contavo davvero a diventar campione. Solo che non sapevo a quale tipo di campione mi stavo riferendo. Esistono tre tipi di campioni: il primo è quello dei bambini, quello che diventa astronauta, pompiere, calciatore. Chi lo diventa è felice e vive a lungo. ll secondo tipo è il campione adolescente, quello forte e chiaro. Quello che ti porta a Cuba o a Cinecittà. Chi lo diventa non vive a lungo ed è pure stronzo. Il terzo tipo è il campione adulto o come a molti piace, quello ridimensionato e pacato. Quello che magari da campione cubano il sistema lo odiava ma poi ha capito che bisognava cambiarlo da dentro. Insomma il mio paese era una culla per campioni e io, ovviamente, mi facevo cullare alla grande con tanto di bar per sere feriali. Qualcuno ogni tanto prova ad elogiare i secondi e la retorica si spreca, poi però quando vincono i primi è di quelli che si parla ,non c'è scampo. In quel mondo quindi per i secondi c'era posto ma in seconda o terza fila, a garanzia della democrazia mentre ai primi ,sempre la precedenza, anche dallo psicologo. In un mondo competitivo essere il primo costantemente è esercizio arduo. Ogni tanto qualcuno cedeva e quindi o si recuperava o si metteva in seconda/terza fila. Questo al tempo era il mio terrore più grande. C'era tanta forza in me, tanta giustizia e buona fede nel mio sangue che non mi sarei potuta permettere una terribile retrocessione. Decisi quindi di essere un campione del secondo tipo. Il calcio era mestiere sporco di soldi, il sistema era criminale e dunque la soluzione doveva essere Cuba ( con qualche assaggio di Cinecittà). Decisi di firmare il mio patto personale entrando di diritto nel kollettivo Universitario, sicura di essere un membro sopra le righe, indipendente e pronto ad allargare il curriculum. Ma come preventivato, nemmeno il tempo della decisione servì per dimenticarmene facendomi coltivare la resistenza tra bar e università. Non me ne pentivo però, anzi, cominciavo a provare un certo fastidio nei riguardi di quelle vere manifestazioni di rabbia stereotipata. Sia chiaro, nessuno si vuole sottrarre da qualche tipo di stereotipo perché al momento la ritengo una cosa impossibile; dico solo che non esiste peggior stereotipato di chi non si accorge di esserlo. Quei ribelli, pur piangendomi il cuore di sinistra, mi infastidivano. Era invidia?. Stavo crescendo o stavo diventando di destra?. Cose orribili queste pure catalogazioni "

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