Mi sveglio e fuori è tutto bianco. Merda.
Mi sveglio meglio, le tende sono tirate, per questo era tutto bianco: che paura.
Controllo l'orologio, le sette e venti, sono in perfetto orario. Ciabatto in cucina, saluto il resto degli abitanti, faccio colazione, faccio la barba, curo l'igiene orale e facciale, mi metto la giacca ed esco.
La città ferve d'attività mentre con passo calmo e sicuro mi avvio verso il lavoro. Alle otto meno cinque, preciso come sempre, arrivo: un brutto palazzone grigio tristezza, con un numero spropositato di finestre, troppo troppo alto mi accoglie. L'altezza dell'edificio è il vero pugno nell'occhio, le proporzioni assurde, la pacchianeria che trasuda: questo orrore scatenerebbe una nuova situazione da torre di Babele, se non fosse che Dio se l'è data a gambe da tempo.
Salgo in ufficio.
Mi salutano tutti, chi con calore, chi senza, chi semplicemente di fretta. Sono un po' una star in questo posto, mi conoscono tutti e per tutti ho una buona parola. Io sono quello che chiacchiera con tutti, che si informa della salute, della famiglia delle vicende personali di ognuno. Che volete farci? Sono affettuoso di natura.
Ora vi starete chiedendo quale sia il mio lavoro.
Beh, non è facile da spiegare.
Di sicuro non lo era quando me ne hanno parlato al colloquio.
La distinta signorina (alcuni direbbero: "la stragnocca delle relazioni umane", ma conosco il suo nome, Cristina, e poi mi hanno educato da gentiluomo) che aveva condotto il colloquio aveva iniziato a scaraventarmi addosso una sfilza di parole inglesi: self-manager, advertising-marketing surveyor, market-control, firm promoting, basta, basta, basta!
Io l'inglese lo mastico più che bene, mio nonno lo parlava fluentissimo e pure i miei genitori non se la cavano male, ma cosa volevan dire tutte quelle cose? Io frattanto ero ipnotizzato dal lungo collo elegante, dalla breve porzione di petto che si intravedeva prima del colletto dell'elegante camicia bianca, dagli zigomi accennati, dagli occhi azzurro ghiaccio, dai capelli color grano, dall'impostazione perfettamente costruita della voce, dal portamento...
Finiamola qui, non vorrei sconfinare. Sono un signore.
Dalle mie parti le donne le teniamo in considerazione in un modo che non potete neanche capire.
In ogni caso la mia qualifica è quella di self-promoting market manager, sono forse un manager di me stesso, sicuro mi son fatto da solo, con un po' d'aiuto da parte dei miei.
Ma adesso bando ai pensieri, ho un mucchio di lavoro da fare. La clientela mi aspetta!
Ma magari riuscissi a concentrarmi. Cosa mi succede? Lo so. Mi son messo a pensare a Cristina e trac!, se n'è andata tutta la produttività. Hai voglia recuperarla adesso...tanto quello che dovevo sbrigare in ufficio l'ho sbrigato.
Ho un paio di commissioni, prendo il cappotto, saluto e mi incammino. I palazzi mi scorrono accanto, i giallo vomito, i rosso desolato, i verde cacchina, madonna che bruttezza, al mio paese era tutto così colorato e vitale. Ma è inutile mettersi a rivangare il passato: anche perché finisce che mi tira sotto un bus.
Sì perché, nonostante tutta questa modernità, sono un ecologista e sono fiero lo sia la mia azienda: il mio mezzo aziendale è una bici. Che meraviglia, non sporca, non consuma, mi mantiene in forma. Decisamente il massimo.
In fondo forse non è tutto da buttare a sto mondo. Sono un self-made-man, guadagno, vivo bene. E in più ho un basso impatto ambientale. Alla faccia di quelli che dicono che tutto fa schifo.
Sono arrivato dal primo cliente. Sfodero il mio sorriso migliore, mi aggiusto la giacca, tiro indietro i capelli, mi specchio nella vetrina del negozio accanto, riprendo un attimo fiato: per il mio lavoro, tutto dev'essere al meglio, altrimenti poi vanno a lamentarsi con il mio capo e dopo una delle sue sfuriate chi ha più il coraggio di guardare in faccia Cristina (e sognare una vita insieme)?
Forte del mio look impeccabile, tiro fuori le brochure, ripenso a quello che mi hanno insegnato al corso aziendale, suono il campanello.
"Sì?"
"Publicità"
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