di Sinistro Crudeli
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un'esercizio sulla
poesia cavalleresca
(per puro diletto)
V'era un tempo in cui l'uomini eran prede,
e non spadroneggiavano in natura,
d'orrende creature ch'aveano sede
ne la foresta — sovran di paura;
si paravano in castelli grandiosi,
così che da l'oscuro arboreo manto
difendevansi, e da li perigliosi
mostri, che fuori stavano per tanto.
L'angoli bui del mondo infestavano
maligne presenze, e i tristi villani
i loro bei villaggi strozzavano
con alte cinte ed altri sforzi vani.
I pavidi innalzavano fortezze
men grandi, ma ben più robuste, e seri
viven in dorate ristrettezze,
e nomavan quei lochi monasteri;
quei più miti vivevano in capanne
e allevavano misere bestiole:
la vita se pienavano d'affanne
pe' vacche e porci abbandonati al sole;
i crudeli, come fiere feroci,
indolenti qual signori stavano;
l'intrepidi cavalcavan veloci,
e avvolti in pese armatur pugnavano.
Natura era già pronta a sterminare
tal esseri – superbi da volere
retro mattoni, fango, polver stare
e d'essere al sicuro ritenere;
ma del lor timor Lei si nutriva
schernendone le pen con rider gaio,
e qual formica sì l'uomo si stiva,
e chiude entro un terroso formicaio.
Fu proprio in un castello sì serrato,
e circondato dalla crudel morsa
della selva scura, che l' fausto Fato
d'un fiero cavalier si mise in forsa:
fu dell'Alido Raimondo Sérpile,
elogiato eroe, ne la memoria
torna, e riappare come suol fertile
ove radica e cresce la sua storia.
Come il calore dei giorni d'estate
lascia il suo posto al gelido inverno
così del Caos e sua potestate
s'abbandonò il Cavaliere all'inferno.
Ben si rimembran l'epiche sue gesta:
come i tre giorni che Mannio il gigante
l'impegnò in duello, e quel che ne resta
per oggi, consunto, accresce le piante;
o di quando sopravvisse al veleno
del mortale basilisco, o pur quando
già più debole del suo morso in seno
a spada brandita, fermo restando,
violenti fendenti alla carne nuda
morte donavan, e l'arma affannata
estinse la stirpe, e sangue di Giuda!
batté dei cinocefali l'armata;
ancor di lui si potrebbe narrare,
che tante son le storie sue, e di Bronte
l'ispanico bianco, che a cavalcare
mille nobil gemme non furon pronte.
Il suo furor è noto alla campagna
tanto ch'ancora risuona il suo passo,
e un ritmico galoppo l'accompagna
che il gran piega, come a rider di spasso;
ei sui monti correa con sicurezza,
tanto d'Eco la voce richiamava,
e d'aria fina spirava l'ebbrezza.
Fu solo l'Alido che gli ordinava
il galoppo, e il Feroce ben spigeva!
l'impetuoso destriero sì a domare,
e più quei ribellava isti batteva;
in fine anche il morso dov'è indossare,
e l'Alido viaggiava in sella stando
al Fulmine – come venne chiamato.
Il mondo intero non stette girando
quando incontrò il fato sfortunato:
saprai, o curioso, d'antico mito
del gran Sérpile a l'ultimo duello,
che per quanti a pugnar l'han costruito
uno sol l'ha distrutto, e questo è quello:
si frantumò la spada pe'l dolore
che'l suo sire per sempre s'è addormito;
non ebbe il suo cavallo tanto cuore
da sano star, e il suo signor basito
cadere vide il misero animale
a fianco del suo corpo inanimato;
e ricorda ogni forma vegetale
il sacro punto in cui egli è spirato,
conservando quello straccio di terra
da gramigne, florando lo sparuto
loco de le sue spoglie, e le ben serra
germinando sui resti del caduto
un cespo di fragole, di passione
rosse, e d'amore, per quel caro figlio
che l'ebbe reo Destino suo campione.
Conoscono di lui come d'un giglio
e così era, sia il Cielo testimone:
la verità si sappia in fino in fondo,
che'l suo canto e la lirica s'intone
dell'eroico Ser Alido Raimondo.
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