martedì 17 marzo 2015

Appunti di montagna: Malga Cornebe.









Malga Cornebe.


Stavo sotto un abete giovane, uno degli ultimi prima della parete rocciosa. Sembrava proprio il posto ideale per passare la notte; il pendio era quello giusto per unirsi alle prime fronde ricavando così lo spazio necessario per un riparo aperto alle stelle e al profilo del monte. Tutto intorno il manto nevoso faceva da muro, la terra in quel punto era scoperta ed emanava il profumo della primavera, quasi in contrasto con la vicina neve ghiacciata.
Mi sono steso e non avevo bisogno di altro, avevo trovato un momento di pace. In lontananza voci, risate e scorci di finestre arancioni dal fuoco di un camino acceso. Rimasi in ascolto...
Pensai alla natura umana e al mio bisogno di stacco momentaneo dalla vita che fluisce. Pensai che in questa tutti abbiamo bisogno di un momento salvifico, di sentirci vivi perché distaccati per qualche istante, per una notte o chissà per quanto. Pensai al rumore del mio stomaco, alle presenze del mio corpo che reagiva e ne ricostruivo lentamente la bellezza. La bellezza appunto...

Non conosco altra bellezza che la natura essenziale dei luoghi incontaminati o eventualmente segnati da opere umane pure, sostenibili ed armoniose. Il rumore di un ruscello, i passi di un capriolo, il sorriso di un padre e di un figlio, l'amicizia sincera o le mura solide di una malga che resiste al tempo  di tutti i tempi. L'equilibrio di un campo ben coltivato,   l'armonia di una comunità e i suoi bisogni che producono opere necessarie come ponti o strade, scuole ed ospedali. L'aiuto incondizionato, la necessità di accogliere l'ultimo, le impronte degli uomini sulla neve insieme alle tracce degli animali notturni. Un saluto ad un estraneo incontrato lungo il sentiero.
La soddisfazione di un bisogno primario, la sete che si placa, il lavoro degno per vivere e sostenere. Questa la bellezza che salverà, questo ciò che non trovo e trovo, che vedo e non vedo, che inseguo.
Pensavo sotto quel rifugio naturale con te fedele compagna. Pensavo e penso anche oggi alla bellezza che vado cercando. La bellezza che ci parla e costruisce ponti fra popoli, persone e argini opposti. Ai mondi tutti terreni che sconvolgono, alla guerra implacabile e alla pace serena. Al legno di quell'abete giovane rivolto a sud, alla pianura dei controsensi. Lo pensavo umano e nobile osservatore delle nostre paure, dei nostri lavori a fondo perduto, dei nostri calcoli, del nostro animo statistico. Lo pensavo come regola e noi come eccezione, per fortuna.
Mi ritrovo oggi in te e ci leggo tutto il futuro in potenza. Non mi riconosco in alcun ordine di leggi, in nessuno stato se non quello della natura e del suo ordine disumano e quindi giusto. L'uomo produce confini di ogni tipo e con questi è necessario misurarsi di continuo. La regola è umana, il regolamento appartiene alla scrittura ed è strumento, mai un fine. La natura possiede un altro linguaggio. Io mi ci riconosco e proprio in questo universo tutto umano intendo inseguirlo. Volare al di sopra di tutto il mondo che c'è almeno per qualche istante nella mia vita; esplorare universi appena intuibili e riconoscersi belli, fragili e paurosamente piccoli. Trovare la soluzione ad ogni paura, ad ogni problema vivendo questo distacco momentaneo nel quale tutto viene svuotato di senso. L'esistenza è un togliere perenne, un esercizio di fino al quale mai mi abituerò. Sbaglierò di continuo fino al ridicolo, alla cattiveria. Mai però smetterò di inseguire la bellezza, mai mi abbandonerò all'inedia o al suono pauroso dell'assenza. Mai il vuoto delle emozioni, mai un distacco nel nulla.


I miei occhi iniziavano a chiudersi alla notte, iniziai a tremare tanto che le tue braccia comunque calde non bastavano più. Giunse il tempo di ricominciare a fluire, di tornare tra quelle mura con il vino e il fuoco caldo. Tornai tra gli uomini, eroi e partigiani sognatori, anche in loro mi ci riconoscevo e in te, ultima e quindi prima fra le donne.

Eravamo infine salvi ancora,  fino all'infinito ed oltre la paura.

14.03.2015

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