Lo
sta facendo.
Lo tira fuori dal cassetto, soffia via la polvere,
sospira, si ferma, sospira di nuovo. Lo apre lentamente.
La
scorsa primavera fece il viaggio più lungo della sua vita.
Vide chiudersi - in modo consenziente e pacifico, ché ormai si è
adulti e ci si sa comportare a modo - una relazione durata troppo a
lungo. Si trovò improvvisamente sfibrata nell'anima, privata
dell'unico appoggio che si era concessa per i suoi momenti bui,
incapace di ricostruire chi era e chi voleva diventare. Un mucchio di
cocci gettati a terra, che ormai si confondevano con la polvere, i
mozziconi di sigaretta e i fogli accartocciati di pensieri abortiti
prematuramente. E cosa poteva farsene dell'università, dei lavoretti
saltuari, dei progetti per l'estate, quando le era stato sottratto
tutto quello che aveva minuziosamente costruito? Aveva altra scelta,
se non di lasciarsi trascinare dall'inerzia di giornate infinite,
piene di gente che fa cose e di cose che fanno la gente?
Aveva
(ha ancora) una filosofia di vita, che ha coltivato con cura fin da
quando era piccola. È
come
una mappa tracciata su una pellicola trasparente da porre sulla
realtà quando si trova in difficoltà. Il suo personalissimo velo di
Maya che la protegge quando si trova in pericolo. E si era davvero
trovata in pericolo, la scorsa primavera. Aveva imboccato troppe
strade sbagliate ed era scesa sempre più a fondo, senza sapere di
preciso dove. Provava uno strano piacere nell'amare l'abisso, ma non
aveva ancora imparato a farsi crescere le ali. Mentre sfiorava il
fondo, pregustando la pace che sarebbe seguita allo schianto, si
ricordò improvvisamente la strada da seguire. Gettarsi nel dolore
con la consapevolezza totalmente infondata di riuscirne nuovi. Non
avendo nulla da perdere, valeva la pena rischiare.
Così,
mentre le persone che una volta riempivano la sua vita facevano a
gara a chi si svagava di più, a chi collezionava più successi, a
chi aveva più amici, lei si fermò. Perché, come le avrebbe detto
qualcuno solo tempo dopo, per uscirne fuori doveva cercarsi dentro.
Recuperò
un vecchio quaderno e lo mise sul comodino, sotto la sveglia. Di fianco sistemò il mozzicone di una matita, poi andò a dormire. La
mattina dopo, appena aperti gli occhi, avrebbe scritto le prime
parole: “26 aprile”. Seguiva il racconto metodico e dettagliato
dei sogni di quella notte. Luoghi, persone, avvenimenti - questo
doveva essere l'ordine. Non doveva scordarsi di annotare con cura
colori e numeri, il caro vecchio padre della psicoanalisi diceva che sono
importantissime chiavi d'interpretazione. E così ogni mattina
svuotava il suo serbatoio onirico, anche quando la notte prima andava
a dormire sbronza, quando si svegliava di soprassalto nel cuore della
notte, quando non riusciva a sentire la sveglia ed arrivava tardi a
lezione.
Arrivata all'ultima pagina, capì che non sarebbe riuscita
ad analizzarlo immediatamente. Le ferite non si erano ancora
cicatrizzate, e per ogni pagina di quel quaderno c'era un mostro che
non aveva la forza di affrontare. Chiuse il quaderno e i suoi spettri
in un cassetto, rimandando l'analisi ad un altro mese, un altro anno,
forse un'altra vita.
Ma
ora - solo ora! - sente di essere pronta a riaprirlo. Può affrontare
il flusso di nomi, luoghi e ricordi che l'hanno lacerata così a
lungo. Stasera l'ha percepito chiaramente: è leggera. Non ha più
macigni sul cuore, può iniziare a progettare le sue ali.
Lo
capisce all'improvviso, leggendo un libro (uno di quelli che ti capiscono meglio
delle persone), quando si scopre a leggere la stessa pagina quattro
volte senza riuscire a ricordarsi cosa ci sia scritto. Lo capisce
quando inizia a viaggiare con la mente, per la prima volta
sorridendo, attraverso un passato che non ha più nulla a che fare
con il suo presente.
Lo
capisce quando si accorge che per certi umanoidi persino il disprezzo
è buttato. E si scopre triste per loro, in fondo, perché non hanno
mai saputo partire. Stanno sdraiati nei loro svaghi, nei loro
successi, nei loro amici. E credono sia tutto lì. Evitano le partenze, i viaggi, il fuoco.
Lo
sta facendo.
Lo tira fuori dal cassetto, soffia via la polvere,
sospira, si ferma, sospira di nuovo. Lo apre lentamente.
“26
aprile”
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