domenica 3 marzo 2013

NOTTE SENZA LUNA


     Il 1988 non fu un anno convenzionale: George H. W. Bush divenne il quarantunesimo Presidente degli Stati Uniti d'America e Hillel Slovak lasciò per sempre i Red Hot Chili Peppers per andarsene in un posto migliore; due fatti che singolarmente presi catturerebbero l'attenzione del lettore – se correttamente approfonditi. Del Presidente Bush si potrebbe descrivere la storica campagna elettorale; del povero Slovak si potrebbe giudicare la prematura scomparsa (dovuta all'abuso di eroina); ma queste due vicende – divise o unitamente analizzate – mai potrebbero eguagliare lo straordinario avvenimento che si ebbe un martedì dello stesso anno, precisamente il 23 febbraio: in una strada di SoHo – a Manhattan, il signor Gabriel Zielinski invecchiò!
     Il lettore dotato di logica deduttiva certamente supporrà che Zielinski quel giorno dovette festeggiare il suo ennesimo compleanno, ma si sbaglierebbe: chiunque infatti saprebbe dire con certezza che il signor Zielinski era nato il 15 ottobre del 1945. Lo si potrebbe chiedere alla vedova Tweed, portinaia dello stabile in cui abitava, che cordialmente gli aveva augurato un felice avvenire nel passato 1987; infatti la povera signora non poteva prevedere quanto sarebbe successo, meno di un anno più tardi. Dunque sappia il lettore che il 23 febbraio 1988 Gabriel Zielinski, modesto impiegato assicurativo, invecchiò di ben dieci anni! dieci e non uno di meno! Le menti più razionali riterranno che un simile episodio sia quanto meno impossibile, e per tanto frutto di una florida fantasia; ma badate a me: non è affatto così! e come sia potuto verificarsi un tale fenomeno sarà giustappunto oggetto di questo scritto.
     Il lunedì precedente al fatto (il 22 febbraio per l'appunto) il signor Zielinski si alzò alle sei, come di consueto; dalla sua spoglia camera da letto si direbbe verso il bagno con gli occhi cisposi, tentennando leggermente ancora insonnolito, e qui – liberatosi degli umori notturni – si avvicinò allo specchio per ricercare con estrema cura la somma dei suoi quarant'anni tra i capelli. Negli ultimi mesi poté notare come la sua calvizie fosse avanzata inesorabilmente, mietendo quelle rade ciocche che avevano avuto il coraggio di battersi e affrontare gli oltraggi del tempo, coprendo fino alla fine dei loro giorni il cranio pallido e umidiccio; eroicamente cadute queste, gli restava solo un'aureola castana a contornare la sua testa – limitata perfettamente al perimetro d'appoggio del suo cappello a falde larghe, forse l'unico vero responsabile della prematura scomparsa della sua chioma.
     Vide poi che sulla sua fronte correva netto un lungo solco, il primo di un predestinato percorso di decadimento fisico a cui non sapeva come sottrarsi. Con lo sguardo navigò lungo il suo volto, prestando attenzione ad ogni scoglio che incontrava lungo la rotta: un naso tozzo, una ruga a lato dell'occhio, un'altra sul mento, un'altra ancora al limite delle labbra… e volle quindi concludere rapidamente la consueta cerimonia del bagno, un poco spaventato dall'aumento progressivo e quasi esponenziale dei tratti che segnavano il suo viso, quasi a formare un libro in cui pagina dopo pagina si leggevano le tappe della sua ripetitiva esistenza. Prese una buona scodella d'acqua con le mani e se la gettò in faccia, tentando di rianimarsi; una sciacquata non avrebbe certo cancellato le ingiurie degli anni, ma sicuramente lo avrebbe distratto.
     Tornò allora nella camera da letto dove, alla maniglia del grande armadio a muro, trovò pendente un attaccapanni a cui era appoggiata la sua tenuta da lavoro: un completo grigio (un poco stinto a causa di un maldestro tentativo di lavaggio a secco), una cravatta nera e una camicia bianca; nulla avrebbe potuto definirsi più anonimo di quel misero completo, e fu certo per questa sua disarmante semplicità che attrasse lo sguardo spento di un uomo privo di volontà. Posando il pigiama sotto il cuscino gli occhi del signor Zielinski si fermarono sull'unica fotografia che si azzardava a decorare il pietoso comodino che teneva alla destra del letto: uno scatto sbiadito dalla prepotente luce del sole, che si intrufolava ogni mattina in quella stanza e vi si posava sopra come a schernirlo.
     Un ritratto di famiglia: una madre amorevole, un padre distratto e un figlio al centro – seduto su una sedia come un trofeo su una mensola del camino – che fissano con allegria mescolata a mal celata mestizia un punto distante. A Zielinski piaceva raccontare che il padre, Eliasz Zielinski, fosse un ebreo polacco immigrato fortunosamente in America per scampare alla guerra e alla sorte che toccò purtroppo ai suoi connazionali; invece la triste verità era che Elijah David Zielinski (questo di fatto il suo vero nome) era statunitense di nascita, e in Polonia non ci aveva mai messo piede – tanto meno per combattere.
     Quindi si diresse velocemente verso la cucina da cui, poscia un orrido caffè gli ebbe arso la gola, si volse verso la porta d'entrata e uscì correndo per la scala che lo condusse all'altro del pianterreno, a otto passi dal cancello e trenta o trentacinque passi dal grande cartello giallo segnalante la fermata dell'autobus della linea 10. Postosi sotto di questo notò per caso che dall'altro lato della strada, quasi dirimpetto, s'era aperto un nuovo negozio: le ampie vetrine erano coperte da pesanti teli violacei, facenti risaltare la porta bianca ove era dipinto di nero un occhio mistico contornato da simboliche linee a raggiera; sopra la porta stava una scritta luminosa, che a grandi caratteri tondi diceva:

MADAME MADENA MANTICA

CARTOMANZIA & CLEROMANZIA

     Insolita insegna, almeno per quel quartiere; tuttavia il signor Zielinski non era certo tipo da dare credito a truffatori, indovini e chiromanti. Volse di nuovo lo sguardo alla strada, dalla quale si proiettò la figura dell'autobus che stava aspettando – l'amico che lo avrebbe condotto al lavoro. Descrivere minuziosamente le dieci ore che Zielinski trascorse attivamente all'agenzia assicurativa Sanders risulterebbe al lettore indubbiamente noioso, e dilungarsi sulle sue incombenze non potrebbe far meglio emergere la sua figura più di quanto non sia già evidente. Basti sapere che nessuno ebbe di che lamentarsi del suo operato: l'umiltà e la sobrietà del signor Zielinski erano grandemente apprezzate da Simon Montgomery Sanders Jr. – proprietario e figlio del fondatore – che mai mancava l'occasione di dare una benevola pacca sulla spalla al suo abile “Gabby” e congratularsi con lui per l'impeccabile abilità con cui era solito archiviare le polizze.
     Dopo aver sistemato i documenti relativi ai contratti Carter, Caspersen e Cassaday, Zielinski si recò come sua abitudine al Bill Diner, prospiciente la fermata della linea 10, per consumare il suo solito pasto: un bicchiere d'acqua e un cheeseburger con poca maionese, accompagnato da un piatto di patate speziate. Finito che ebbe di desinare e pagato il conto della cena dovette aspettare fuori, sotto la piccola tettoia della fermata, circa quindici minuti – prima che l'autobus arrivasse per riaccompagnarlo a casa; quindici significativi minuti in cui ebbe agio di dedicarsi a una paziente elucubrazione sulla propria esistenza. Quarantatré anni erano passati in un battito di ciglia, e davanti ai suoi occhi scorsero rapidi fotogrammi come in un vecchio film degli anni Venti; quasi la metà degli anni che sperava di vivere se ne erano andati, correndo lestamente in una proiezione di scarsa qualità, e il suo futuro non presentava altre certezze che un impiego da archivista in un'agenzia.
     Fu proprio con questo pensiero che il signor Zielinski scese dall'autobus, pronto a rincasare – come dimostrava il mazzo di chiavi che teneva saldamente in mano, mentre cercava con le dita quella che apriva il cancelletto dello stabile; ma venne stranamente rapito dalla luminosa frase intermittente, quella stessa “Madame Madena mantica” che undici ore prima lo aveva lasciato quasi inorridito. Con un futuro dalla nera prospettiva come il suo, forse soltanto una bugia convincente avrebbe potuto rincuorarlo e concedergli un sonno tranquillo. Dapprima fu alquanto combattuto, tanto da non saper neppure da che parte dirigere i piedi! ma infine riuscì a trovare il coraggio di opporsi alle proprie ferree convinzioni, e da buon ateo cercò conforto in una religione che gli offrisse maggiore speranza.
     Con titubanza Zielinski varcò la soglia di quello strano locale: sul corridoio che dava alla saletta dove era solita predire la sorte, l'oracolo teneva di buon augurio le immagini della Vergine della Regola e della Madonna della Mercede – gli spiriti da lei favoriti nei riti della Santeria; poco più in là, sul ripiano di un mobile di fattura africana, stava una piccola statua di Isis, a sua volta vicina ad un'icona russa raffigurante Santa Maria Egiziaca. A conti fatti madame Madena non era forse una donna coerente, ma evidentemente una risoluta femminista. Il signor Zielinski, imbarazzato come un peccatore in chiesa, era sul punto di girarsi e uscire da quel tugurio ricco di religiosa paccottiglia, quando madame Madena in persona affondò le unghie sul malcapitato invitandolo a sedersi.
     Allora il pover'uomo avvertì un tremendo odore d'incenso che invase ogni spazio, fin quasi a entrargli nelle ossa; e un poco stordito dall'olezzo penetrante Zielinski non seppe resistere alla prepotente cortesia della veggente, che lo mise a sedere difronte a un tavolo coperto da un elegante ed etnico drappo d'organza istoriata, su cui cominciò a porre ordinatamente i tarocchi. Fu una breve consultazione, in cui la cartomante sollevò solo gli arcani maggiori; la Temperanza e la Ruota della Fortuna descrissero Zielinski come un uomo mite e di scarso successo, così come il Diavolo dichiarò una vita sentimentale deludente; ma dopo aver girato poche carte, la sibilla con somma disperazione dovette rivelare al signor Zielinski il triste presagio. «Che Dio assista l'uomo timorato!» disse Madame Madena in una lacrimevole confessione, svelando il mistero di un fato infelice: al misero omino restavano solo dieci anni di vita, un quinto degli anni che Zielinski credeva di meritare e un decimo del compenso che richiese l'indovina. Una catastrofe su tutta la linea!
     Dopo aver pagato il salato onorario alla divinatrice, il signor Zielinski si affrettò ad uscire da quel locale – divenuto improvvisamente troppo stretto e soffocante; gli sguardi benevoli delle vergini non bastarono a tranquillizzarlo; e così superò l'uscio nervosamente e finalmente in strada respirò con avidità quell'aria cittadina ricca di lezzi e miasmi, che mai prima avevano avuto per lui un sapore così dolce. Non riuscì a riflettere lucidamente su quella sconvolgente notizia: le sue gambe tremavano, dalla sua fronte grondavano rivoli di sudore ghiacciati, il suo cuore ritmava con crescente furia il battito, pronto ad esplodere!
     In preda all'ansietà non seppe misurarsi e corse forsennatamente verso la sua dimora in preda al terrore; solo quando fu a casa Zielinski tentò di recuperare quel poco di lucidità che gli avrebbe restituito la calma necessaria per ragionare su quella sconcertante novità, che ancora pulsava nervosa nel suo cervello; persino il suo stomaco cadde vittima di quella inquietudine e si mise a tremare. La raggelante novella aveva ghiacciato l'impiegato sullo stipite della porta d'ingresso al locale: scrutò turbato il suo appartamento scuro, illuminato a tratti per le finestre dia neon dei negozi, non meno quello di madame Madena.
     Accese la luce, e i suoi occhi abituati al buio – inaspettatamente abbagliati – si strinsero componendo sul suo viso una smorfia di fastidio che miracolosamente restituì il signor Zielinski alla realtà. La consueta visione del suo soggiorno lo fece rinsavire, riportandolo alla sua solita vita, in cui il futuro era oscuro e il presente ricco di polvere che ricopriva in un velo la mobilia; ma la sua angoscia mutò ogni lato e ogni angolo di quella casa in una potenziale arma: Zielinski infatti credette che la profezia di madame Madena, se da considerarsi veridica, fosse giustificata da elementi od oggetti micidiali presenti in casa o in ufficio, ovverosia i due posti che frequentava per il più del suo tempo.
     La sua buona salute costituiva infatti un assioma, per cui ipotizzava che la causa della sua prossima e prematura morte dovesse collocarsi in un ambiente esterno al suo corpo, in un luogo che fosse solito frequentare; avendo fatto ritorno al suo appartamento dopo la sconfortante predizione quest'ultimo divenne nel suo immaginario un'arma mortale, pronta a colpirlo quand'egli meno se lo sarebbe aspettato. Non fu rilevante supporre che tale arma avrebbe agito non prima di dieci anni, se realmente fosse stata la causa della sua ingiustificata dipartita; di certo Zielinski non avrebbe pazientato per aspettarsi un tale tiro mancino. Così prese ad analizzare con cura e dedizione scientifica le stanze e le camere della sua casa, alla ricerca disperata dell'origine della sua fine.
     Felice di ritrovare ogni cosa a suo posto si diresse alla camera da letto, e qui giunto si gettò supino e disperato nel letto – rivolgendo lo sguardo al soffitto e pensando alle terribili parole della chiaroveggente. Furono proprio quelle parole ad animare la sua fantasia, dapprima dormiente e atrofizzata dalla monotonia della sua esistenza, reiterata in quelle azioni abituali che la organizzavano. D'un tratto il mondo che lo circondava perse la patina grigia che lo ammantava e acquistò nuovi colori meravigliosi e sinistri, e prese a nuotare in nuovi pensieri, in nuove congetture che mai prima aveva avuto il tempo o il desiderio di esprimere. Provò l'intimo desiderio di cambiare, di innovarsi e migliorare, forse persino di acquisire una personalità; ma seppe subito che era troppo tardi: dieci anni sono pochi, meno di quanti ne servano per imparare a correggere i propri errori – o così credette.
     Sentì d'essere nuovamente costretto, incatenato ai suoi doveri e alle sue noie quotidiane, condannato ad una vita melanconica fino alla fine dei suoi giorni. Se solo ci fosse un posto comodo dove sedersi e aspettare la fine del mondo Zielinski allora l'avrebbe occupato, e fremente avrebbe atteso che il colpo fatale atterrasse sulla sua schiena.
     In uno stato di spossatezza che preludiava il sonno, il signor Zielinski si concentrò su un punto della sua camera da letto, attratto da una figura che prima di allora non aveva scorto: una chiazza, un'informe macchia verdognola che occupava un angolo della stanza in un diametro di circa sei pollici – in corrispondenza (cosa che a Zielinski non era nota) di un lato del bagno dell'appartamento soprastante; una muffa causata dall'umidità o forse da una continua perdita d'acqua di cui i coniugi Gustafson, inquilini del suddetto alloggio, non tennero in giusta considerazione. Certo la loro incuria permise la formazione di quella macchia, ma non si può accusarli di quanto avvenne successivamente, ovvero ciò che accadde al signor Zielinski il 23 febbraio – giorno iniziato da almeno tre ore quando questi si accorse di quell'alone.
     Quell'ombra verdastra apparve davanti ai suoi occhi come una rivelazione, o più propriamente come un presagio; la sua fine era ora più chiara: era ovviamente quella muffa la causa della sua prossima morte! la sua forma e la sua estensione presagivano una crescita; del resto Zielinski si rese conto solo allora di quell'imminente pericolo, e ben presto avrebbe potuto allargarsi a dimensioni sempre maggiori fino ad invadere tutti gli angoli e tutte le stanze. Tutta la sua casa sarebbe stata ineluttabilmente invasa dal sortilegio che lo avrebbe portato all'estinzione.
     Davanti ai suoi occhi le pareti divennero verdi, e tutt'intorno i lati della camera si strinsero, quasi volessero stritolarlo; avvertì un odore insopportabile, l'aria si arricchì di polvere e più inspirava più sentiva mancargli il fiato. Mai avrebbe potuto restare dieci anni ancora in quella stanza malsana ad aspettare la morte! Non prese neppure il soprabito: uscì di corsa da quella stanza e altrettanto frettolosamente se ne scappò da quella casa, deciso a non soccombere.
     Se avesse riflettuto con maggiore calma forse avrebbe intuito come i suoi vicini Gustafson fossero i veri colpevoli di quella muffa, e facilmente avrebbe potuto sia eliminarla (con adeguati prodotti igienici) che scongiurarne la ricomparsa – avvisando ciò i signori Gustafson della disfunzione proveniente dal loro bagno; ma tant'è che il terrore ebbe il sopravvento e il signor Zielinski non seppe ragionare: corse fuori di casa come impazzito! scese le scale e si gettò in strada a rotta di collo, incurante della nuovissima Eagle Vista station wagon grigio metallizzata che stava appunto correndo per il SoHo – quando Zielinski le si parò davanti e fece stridere i suoi freni appena registrati. Inutile dire che quei freni non potevano minimamente aspettarsi un ostacolo simile; e il proprietario, certo Gary Thorne, non poté fare più di quanto fece.
     Sotto quattro ruote, in un momento più lungo di un attimo e meno di un secondo, un povero impiegato spaventato smise di preoccuparsi. Il signor Thorne a stento comprese la situazione, ma non tardò a soccorrere Zielinski o quanto di lui rimaneva: un corpo ormai inanimato giaceva a terra, schiacciato dal peso di un pensiero ossessivo; l'ultimo istante di un uomo. Sul suo volto si conservò in una plastica smorfia il ritratto di un'emozione vera, di quelle poche che in vita provò l'impiegato assicurativo, forse il primo ad accorgersi di quanto previsioni e presagi non siano che mere beffe.
     Gabriel Zielinski comprese solo quel giorno, in quel momento, di quanto brevi possano essere dieci anni…


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