Il 1988 non fu un anno convenzionale: George H. W. Bush divenne il quarantunesimo Presidente degli Stati Uniti d'America e Hillel Slovak lasciò per sempre i Red Hot Chili Peppers per andarsene in un posto migliore; due fatti che singolarmente presi catturerebbero l'attenzione del lettore – se correttamente approfonditi. Del Presidente Bush si potrebbe descrivere la storica campagna elettorale; del povero Slovak si potrebbe giudicare la prematura scomparsa (dovuta all'abuso di eroina); ma queste due vicende – divise o unitamente analizzate – mai potrebbero eguagliare lo straordinario avvenimento che si ebbe un martedì dello stesso anno, precisamente il 23 febbraio: in una strada di SoHo – a Manhattan, il signor Gabriel Zielinski invecchiò!
Il
lettore dotato di logica deduttiva certamente supporrà che Zielinski
quel giorno dovette festeggiare il suo ennesimo compleanno, ma si
sbaglierebbe: chiunque infatti saprebbe dire con certezza che il
signor Zielinski era nato il 15 ottobre del 1945. Lo si potrebbe
chiedere alla vedova Tweed, portinaia dello stabile in cui abitava,
che cordialmente gli aveva augurato un felice avvenire nel passato
1987; infatti la povera signora non poteva prevedere quanto sarebbe
successo, meno di un anno più tardi. Dunque sappia il lettore che il
23 febbraio 1988 Gabriel Zielinski, modesto impiegato assicurativo,
invecchiò di ben dieci anni! dieci e non uno di meno! Le menti più
razionali riterranno che un simile episodio sia quanto meno
impossibile, e per tanto frutto di una florida fantasia; ma badate a
me: non è affatto così! e come sia potuto verificarsi un tale
fenomeno sarà giustappunto oggetto di questo scritto.
Il lunedì precedente al fatto (il 22 febbraio per l'appunto) il signor Zielinski si alzò alle sei, come di consueto; dalla sua spoglia camera da letto si direbbe verso il bagno con gli occhi cisposi, tentennando leggermente ancora insonnolito, e qui – liberatosi degli umori notturni – si avvicinò allo specchio per ricercare con estrema cura la somma dei suoi quarant'anni tra i capelli. Negli ultimi mesi poté notare come la sua calvizie fosse avanzata inesorabilmente, mietendo quelle rade ciocche che avevano avuto il coraggio di battersi e affrontare gli oltraggi del tempo, coprendo fino alla fine dei loro giorni il cranio pallido e umidiccio; eroicamente cadute queste, gli restava solo un'aureola castana a contornare la sua testa – limitata perfettamente al perimetro d'appoggio del suo cappello a falde larghe, forse l'unico vero responsabile della prematura scomparsa della sua chioma.
Vide poi che sulla sua fronte correva netto un lungo solco, il primo di un predestinato percorso di decadimento fisico a cui non sapeva come sottrarsi. Con lo sguardo navigò lungo il suo volto, prestando attenzione ad ogni scoglio che incontrava lungo la rotta: un naso tozzo, una ruga a lato dell'occhio, un'altra sul mento, un'altra ancora al limite delle labbra… e volle quindi concludere rapidamente la consueta cerimonia del bagno, un poco spaventato dall'aumento progressivo e quasi esponenziale dei tratti che segnavano il suo viso, quasi a formare un libro in cui pagina dopo pagina si leggevano le tappe della sua ripetitiva esistenza. Prese una buona scodella d'acqua con le mani e se la gettò in faccia, tentando di rianimarsi; una sciacquata non avrebbe certo cancellato le ingiurie degli anni, ma sicuramente lo avrebbe distratto.
Tornò allora nella camera da letto dove, alla maniglia del grande armadio a muro, trovò pendente un attaccapanni a cui era appoggiata la sua tenuta da lavoro: un completo grigio (un poco stinto a causa di un maldestro tentativo di lavaggio a secco), una cravatta nera e una camicia bianca; nulla avrebbe potuto definirsi più anonimo di quel misero completo, e fu certo per questa sua disarmante semplicità che attrasse lo sguardo spento di un uomo privo di volontà. Posando il pigiama sotto il cuscino gli occhi del signor Zielinski si fermarono sull'unica fotografia che si azzardava a decorare il pietoso comodino che teneva alla destra del letto: uno scatto sbiadito dalla prepotente luce del sole, che si intrufolava ogni mattina in quella stanza e vi si posava sopra come a schernirlo.Un ritratto di famiglia: una madre amorevole, un padre distratto e un figlio al centro – seduto su una sedia come un trofeo su una mensola del camino – che fissano con allegria mescolata a mal celata mestizia un punto distante. A Zielinski piaceva raccontare che il padre, Eliasz Zielinski, fosse un ebreo polacco immigrato fortunosamente in America per scampare alla guerra e alla sorte che toccò purtroppo ai suoi connazionali; invece la triste verità era che Elijah David Zielinski (questo di fatto il suo vero nome) era statunitense di nascita, e in Polonia non ci aveva mai messo piede – tanto meno per combattere.
Quindi si diresse velocemente verso la cucina da cui, poscia un orrido caffè gli ebbe arso la gola, si volse verso la porta d'entrata e uscì correndo per la scala che lo condusse all'altro del pianterreno, a otto passi dal cancello e trenta o trentacinque passi dal grande cartello giallo segnalante la fermata dell'autobus della linea 10. Postosi sotto di questo notò per caso che dall'altro lato della strada, quasi dirimpetto, s'era aperto un nuovo negozio: le ampie vetrine erano coperte da pesanti teli violacei, facenti risaltare la porta bianca ove era dipinto di nero un occhio mistico contornato da simboliche linee a raggiera; sopra la porta stava una scritta luminosa, che a grandi caratteri tondi diceva:
MADAME MADENA MANTICA
CARTOMANZIA
& CLEROMANZIA
Insolita
insegna, almeno per quel quartiere; tuttavia il signor Zielinski non
era certo tipo da dare credito a truffatori, indovini e chiromanti.
Volse di nuovo lo sguardo alla strada, dalla quale si proiettò la
figura dell'autobus che stava aspettando – l'amico che lo avrebbe
condotto al lavoro. Descrivere minuziosamente le dieci ore che
Zielinski trascorse attivamente all'agenzia assicurativa Sanders
risulterebbe al lettore indubbiamente noioso, e dilungarsi sulle sue
incombenze non potrebbe far meglio emergere la sua figura più di
quanto non sia già evidente. Basti sapere che nessuno ebbe di che
lamentarsi del suo operato: l'umiltà e la sobrietà del signor
Zielinski erano grandemente apprezzate da Simon Montgomery Sanders
Jr. – proprietario e figlio del fondatore – che mai mancava
l'occasione di dare una benevola pacca sulla spalla al suo abile
“Gabby” e congratularsi con lui per l'impeccabile abilità con
cui era solito archiviare le polizze.
Dopo
aver sistemato i documenti relativi ai contratti Carter, Caspersen e
Cassaday, Zielinski si recò come sua abitudine al Bill Diner,
prospiciente la fermata della linea 10, per consumare il suo solito
pasto: un bicchiere d'acqua e un cheeseburger con poca maionese,
accompagnato da un piatto di patate speziate. Finito che ebbe di
desinare e pagato il conto della cena dovette aspettare fuori, sotto
la piccola tettoia della fermata, circa quindici minuti – prima che
l'autobus arrivasse per riaccompagnarlo a casa; quindici
significativi minuti in cui ebbe agio di dedicarsi a una paziente
elucubrazione sulla propria esistenza. Quarantatré anni erano
passati in un battito di ciglia, e davanti ai suoi occhi scorsero
rapidi fotogrammi come in un vecchio film degli anni Venti; quasi la
metà degli anni che sperava di vivere se ne erano andati, correndo
lestamente in una proiezione di scarsa qualità, e il suo futuro non
presentava altre certezze che un impiego da archivista in un'agenzia.
Fu
proprio con questo pensiero che il signor Zielinski scese
dall'autobus, pronto a rincasare – come dimostrava il mazzo di
chiavi che teneva saldamente in mano, mentre cercava con le dita
quella che apriva il cancelletto dello stabile; ma venne stranamente
rapito dalla luminosa frase intermittente, quella stessa “Madame
Madena mantica” che undici ore prima lo aveva lasciato quasi
inorridito. Con un futuro dalla nera prospettiva come il suo, forse
soltanto una bugia convincente avrebbe potuto rincuorarlo e
concedergli un sonno tranquillo. Dapprima fu alquanto combattuto,
tanto da non saper neppure da che parte dirigere i piedi! ma infine
riuscì a trovare il coraggio di opporsi alle proprie ferree
convinzioni, e da buon ateo cercò conforto in una religione che gli
offrisse maggiore speranza.
Con
titubanza Zielinski varcò la soglia di quello strano locale: sul
corridoio che dava alla saletta dove era solita predire la sorte,
l'oracolo teneva di buon augurio le immagini della Vergine della
Regola e della Madonna della Mercede – gli spiriti da lei favoriti
nei riti della Santeria; poco più in là, sul ripiano di un mobile
di fattura africana, stava una piccola statua di Isis, a sua volta
vicina ad un'icona russa raffigurante Santa Maria Egiziaca. A conti
fatti madame Madena non era forse una donna coerente, ma
evidentemente una risoluta femminista. Il signor Zielinski,
imbarazzato come un peccatore in chiesa, era sul punto di girarsi e
uscire da quel tugurio ricco di religiosa paccottiglia, quando madame
Madena in persona affondò le unghie sul malcapitato invitandolo a
sedersi.
Allora
il pover'uomo avvertì un tremendo odore d'incenso che invase ogni
spazio, fin quasi a entrargli nelle ossa; e un poco stordito
dall'olezzo penetrante Zielinski non seppe resistere alla prepotente
cortesia della veggente, che lo mise a sedere difronte a un tavolo
coperto da un elegante ed etnico drappo d'organza istoriata, su cui
cominciò a porre ordinatamente i tarocchi. Fu una breve
consultazione, in cui la cartomante sollevò solo gli arcani
maggiori; la Temperanza e la Ruota della Fortuna descrissero
Zielinski come un uomo mite e di scarso successo, così come il
Diavolo dichiarò una vita sentimentale deludente; ma dopo aver
girato poche carte, la sibilla con somma disperazione dovette
rivelare al signor Zielinski il triste presagio. «Che Dio assista
l'uomo timorato!» disse Madame Madena in una lacrimevole
confessione, svelando il mistero di un fato infelice: al misero omino
restavano solo dieci anni di vita, un quinto degli anni che Zielinski
credeva di meritare e un decimo del compenso che richiese l'indovina.
Una catastrofe su tutta la linea!
Dopo
aver pagato il salato onorario alla divinatrice, il signor Zielinski
si affrettò ad uscire da quel locale – divenuto improvvisamente
troppo stretto e soffocante; gli sguardi benevoli delle vergini non
bastarono a tranquillizzarlo; e così superò l'uscio nervosamente e
finalmente in strada respirò con avidità quell'aria cittadina ricca
di lezzi e miasmi, che mai prima avevano avuto per lui un sapore così
dolce. Non riuscì a riflettere lucidamente su quella sconvolgente
notizia: le sue gambe tremavano, dalla sua fronte grondavano rivoli
di sudore ghiacciati, il suo cuore ritmava con crescente furia il
battito, pronto ad esplodere!
In
preda all'ansietà non seppe misurarsi e corse forsennatamente verso
la sua dimora in preda al terrore; solo quando fu a casa Zielinski
tentò di recuperare quel poco di lucidità che gli avrebbe
restituito la calma necessaria per ragionare su quella sconcertante
novità, che ancora pulsava nervosa nel suo cervello; persino il suo
stomaco cadde vittima di quella inquietudine e si mise a tremare. La
raggelante novella aveva ghiacciato l'impiegato sullo stipite della
porta d'ingresso al locale: scrutò turbato il suo appartamento
scuro, illuminato a tratti per le finestre dia neon dei negozi, non
meno quello di madame Madena.
Accese
la luce, e i suoi occhi abituati al buio – inaspettatamente
abbagliati – si strinsero componendo sul suo viso una smorfia di
fastidio che miracolosamente restituì il signor Zielinski alla
realtà. La consueta visione del suo soggiorno lo fece rinsavire,
riportandolo alla sua solita vita, in cui il futuro era oscuro e il
presente ricco di polvere che ricopriva in un velo la mobilia; ma la
sua angoscia mutò ogni lato e ogni angolo di quella casa in una
potenziale arma: Zielinski infatti credette che la profezia di madame
Madena, se da considerarsi veridica, fosse giustificata da elementi
od oggetti micidiali presenti in casa o in ufficio, ovverosia i due
posti che frequentava per il più del suo tempo.
La
sua buona salute costituiva infatti un assioma, per cui ipotizzava
che la causa della sua prossima e prematura morte dovesse collocarsi
in un ambiente esterno al suo corpo, in un luogo che fosse solito
frequentare; avendo fatto ritorno al suo appartamento dopo la
sconfortante predizione quest'ultimo divenne nel suo immaginario
un'arma mortale, pronta a colpirlo quand'egli meno se lo sarebbe
aspettato. Non fu rilevante supporre che tale arma avrebbe agito non
prima di dieci anni, se realmente fosse stata la causa della sua
ingiustificata dipartita; di certo Zielinski non avrebbe pazientato
per aspettarsi un tale tiro mancino. Così prese ad analizzare con
cura e dedizione scientifica le stanze e le camere della sua casa,
alla ricerca disperata dell'origine della sua fine.
Felice
di ritrovare ogni cosa a suo posto si diresse alla camera da letto, e
qui giunto si gettò supino e disperato nel letto – rivolgendo lo
sguardo al soffitto e pensando alle terribili parole della
chiaroveggente. Furono proprio quelle parole ad animare la sua
fantasia, dapprima dormiente e atrofizzata dalla monotonia della sua
esistenza, reiterata in quelle azioni abituali che la organizzavano.
D'un tratto il mondo che lo circondava perse la patina grigia che lo
ammantava e acquistò nuovi colori meravigliosi e sinistri, e prese a
nuotare in nuovi pensieri, in nuove congetture che mai prima aveva
avuto il tempo o il desiderio di esprimere. Provò l'intimo desiderio
di cambiare, di innovarsi e migliorare, forse persino di acquisire
una personalità; ma seppe subito che era troppo tardi: dieci anni
sono pochi, meno di quanti ne servano per imparare a correggere i
propri errori – o così credette.
Sentì
d'essere nuovamente costretto, incatenato ai suoi doveri e alle sue
noie quotidiane, condannato ad una vita melanconica fino alla fine
dei suoi giorni. Se solo ci fosse un posto comodo dove sedersi e
aspettare la fine del mondo Zielinski allora l'avrebbe occupato, e
fremente avrebbe atteso che il colpo fatale atterrasse sulla sua
schiena.
In
uno stato di spossatezza che preludiava il sonno, il signor Zielinski
si concentrò su un punto della sua camera da letto, attratto da una
figura che prima di allora non aveva scorto: una chiazza, un'informe
macchia verdognola che occupava un angolo della stanza in un diametro
di circa sei pollici – in corrispondenza (cosa che a Zielinski non
era nota) di un lato del bagno dell'appartamento soprastante; una
muffa causata dall'umidità o forse da una continua perdita d'acqua
di cui i coniugi Gustafson, inquilini del suddetto alloggio, non
tennero in giusta considerazione. Certo la loro incuria permise la
formazione di quella macchia, ma non si può accusarli di quanto
avvenne successivamente, ovvero ciò che accadde al signor Zielinski
il 23 febbraio – giorno iniziato da almeno tre ore quando questi si
accorse di quell'alone.
Quell'ombra
verdastra apparve davanti ai suoi occhi come una rivelazione, o più
propriamente come un presagio; la sua fine era ora più chiara: era
ovviamente quella muffa la causa della sua prossima morte! la sua
forma e la sua estensione presagivano una crescita; del resto
Zielinski si rese conto solo allora di quell'imminente pericolo, e
ben presto avrebbe potuto allargarsi a dimensioni sempre maggiori
fino ad invadere tutti gli angoli e tutte le stanze. Tutta la sua
casa sarebbe stata ineluttabilmente invasa dal sortilegio che lo
avrebbe portato all'estinzione.
Davanti
ai suoi occhi le pareti divennero verdi, e tutt'intorno i lati della
camera si strinsero, quasi volessero stritolarlo; avvertì un odore
insopportabile, l'aria si arricchì di polvere e più inspirava più
sentiva mancargli il fiato. Mai avrebbe potuto restare dieci anni
ancora in quella stanza malsana ad aspettare la morte! Non prese
neppure il soprabito: uscì di corsa da quella stanza e altrettanto
frettolosamente se ne scappò da quella casa, deciso a non
soccombere.
Se
avesse riflettuto con maggiore calma forse avrebbe intuito come i
suoi vicini Gustafson fossero i veri colpevoli di quella muffa, e
facilmente avrebbe potuto sia eliminarla (con adeguati prodotti
igienici) che scongiurarne la ricomparsa – avvisando ciò i signori
Gustafson della disfunzione proveniente dal loro bagno; ma tant'è
che il terrore ebbe il sopravvento e il signor Zielinski non seppe
ragionare: corse fuori di casa come impazzito! scese le scale e si
gettò in strada a rotta di collo, incurante della nuovissima Eagle
Vista station wagon grigio metallizzata che stava appunto correndo
per il SoHo – quando Zielinski le si parò davanti e fece stridere
i suoi freni appena registrati. Inutile dire che quei freni non
potevano minimamente aspettarsi un ostacolo simile; e il
proprietario, certo Gary Thorne, non poté fare più di quanto fece.
Sotto
quattro ruote, in un momento più lungo di un attimo e meno di un
secondo, un povero impiegato spaventato smise di preoccuparsi. Il
signor Thorne a stento comprese la situazione, ma non tardò a
soccorrere Zielinski o quanto di lui rimaneva: un corpo ormai
inanimato giaceva a terra, schiacciato dal peso di un pensiero
ossessivo; l'ultimo istante di un uomo. Sul suo volto si conservò in
una plastica smorfia il ritratto di un'emozione vera, di quelle poche
che in vita provò l'impiegato assicurativo, forse il primo ad
accorgersi di quanto previsioni e presagi non siano che mere beffe.
Gabriel
Zielinski comprese solo quel giorno, in quel momento, di quanto brevi
possano essere dieci anni…
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