lunedì 6 maggio 2013

Il lavoro ha creato l’uomo e l’uomo ha creato il cinema... ovvero mitopoiesi della classe operaia





Il filmato che vedete qui sopra è un embrione, un feto che ha fatto il suo primo vagito. Un figlio dell’uomo chiamato Cinema. Questo è La Sortie de l'usine Lumière (L'uscita dalle officine Lumière), il primo dei dieci film proiettati la sera del il 28 dicembre 1895 presso il Salon Indien du Grand Café, al numero 14 di Bulevard des Capucines a Parigi, dai fratelli Louis e Auguste Lumière.

È significativo che il primo soggetto della storia del cinema sia la folla, quasi a profetizzare che di lì a poco il cinema sarebbe diventato il medium per eccellenza della società di massa. Ma non si tratta di una folla qualsiasi bensì di una folla di operai che escono dalla fabbrica. E più precisamente è la fabbrica lionese di papà Lumière, imprenditore nel campo della fotografia, che aveva incaricato i due figli di convertire il Kinetoscopio di Edison (che limitava la visione del film a uno spettatore alla volta) in modo da permettere una visione pubblica delle immagini in movimento.

Questi 46 secondi sono, ai miei occhi, così significativi e rappresentativi di un certo filone di cinema che non è stato attivo solo negli anni Sessanta e Settanta ma ha avuto nomi altisonanti in ogni epoca, da Chaplin a Lang a Vidor, dai documentari della General Post Office inglese a quelli di Ivens, dal polacco Wajda agli italiani Germi e Petri per citarne solo alcuni.
Questi 46 secondi, nella loro semplicità, hanno generato la forma più elevata di cinema: quella utile al popolo.

De L’uscita dalla fabbrica conosciamo ben tre rulli (recentemente ne sono stati trovati altri due). In ognuna di queste versioni si vedono gli operai uscire dai cancelli della fabbrica, in abiti tipicamente Belle Époque, e attraversare l’inquadratura statica nel campo lungo, nello schema teatrale.
A lungo si è dibattuto se questo film, che come ho già detto sancisce la nascita del cinema, sia di natura documentaria o di finzione. A favore della prima tesi vi è il fatto che il film è privo di un racconto cinematografico che si svilupperà solo a partire da L’innaffiatore innaffiato di poco successivo, considerato unanimemente la prima comica della storia del cinema.
A favore della seconda tesi, ovvero che questo film sia frutto di una costruzione che rivelerebbe una sapiente costruzione registica fin dai primordi del cinema, vi sono diversi elementi.
Primo fra tutti proprio l’esistenza di più versioni che indica che i Lumière hanno dovuto fare più tentativi per ottenere dei risultati soddisfacenti. Il fatto poi che gli operai di sinistra vadano a destra e quelli di destra vadano a sinistra, non è certo un caso ma una chiara orchestrazione. In questo senso la presenza di un cane e di ragazzi in bicicletta che entrano a più riprese nell’inquadratura, come anche la carrozza del gran finale, sono elementi puramente scenografici.
E veniamo alla questione vestiti: quando mai gli operai escono da lavoro col vestito buono?
Più precisamente sappiamo che, per via della scarsa sensibilità della pellicola e degli obbiettivi, i Lumière potevano riprendere solo tra le 11 e le 13 con ottime condizioni atmosferiche per usufruire della maggior quantità di luce possibile.
In prima istanza, questo vuol dire che L’uscita dalla fabbrica non è stata ripresa alla fine dell’orario di lavoro ma al massimo alla pausa pranzo. Inoltre si pensa che il filmato sia stato fatto tra il 18 e il 20 marzo 1895 e quasi certamente il 19 marzo perché gli altri due giorni era nuvoloso. Ma secondo un astronomo e meteorologo la data corretta sarebbe il 10 marzo e questa sarebbe un’ipotesi molto più interessante dato che il 10 maggio era domenica. Gli operai sarebbero quindi stati convocati nel loro giorno di riposo (ecco spiegato l’abito buono) e fatti sfilare attraverso i cancelli della fabbrica.
Curioso è anche il fatto che quasi nessuno guardi in camera il che vuol dire che i fratelli Lumière, già ravveduti a questo proposito, li avevano istruiti per bene.

A questo punto non mi resta che lanciare una provocazione e tentare una carambolica analisi di quest’opera che più che opera d’arte è un documento storico di inestimabile valore.
Se quanto esposto poco sopra è vero, cioè che i Lumière hanno messo in riga i propri dipendenti e li hanno fatti sfilare davanti al loro nuovo giocattolo, mi fa pensare che questi 46 secondi riassumano implicitamente i codici di sfruttamento borghese sul proletariato, codici che, se assumiamo queste immagini come mitopoietiche, si sono tramandati fino ad oggi e in alcuni film dovutamente smascherati mentre nella realtà dei fatti dominano ancora imperituri.
Con questo non voglio dare ai Lumière degli imperialisti senza scrupoli, d'altronde in cinema è nato come iniziativa imprenditoriale ed è rimasto tale fino ad oggi. La cosa che fa sorridere è che dopo l’iniziale successo i Lumière abbandonarono il cinematografo perché pensavano non avrebbe avuto fortuna a lungo termine.
Mi rendo poi conto, nel vedere queste immagini, che la massa, i proletari, gli operai, anche quando partecipano alla creazione di una nuova tecnologia in realtà la subiscono, ne diventano poi il consumatore passivo, l’oggetto stesso, una macchina celibe.
Ma con questi ultimi due punti entriamo nel vasto campo tra Heidegger e la realtà illusoria di fronte al quale mi congedo, con la speranza che agli operai de La Sortie de l'usine Lumière siano stati pagati gli straordinari.

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