sabato 11 maggio 2013
Pensieri raccolti come margherite durante una lezione di unno
Scrivere un blog è come andare al cesso.
Sei pieno di merda come un Marine tenuto prigioniero per due anni dai talebani in una grotta afghana senza niente attorno se non capre e militanti puzzolenti: ti liberano e la prima cosa che fai è lanciarti su un cesso vero.
Con "merda" non intendo giudicare la qualità dei post - alcuni sono davvero ottimi (specie se non sono miei).
"Merda" sta per prodotto di digestione e possibile fertilizzante.
Per inciso è l'unica metafora che rende degnamente l'esigenza e l'urgenza del proprio bisogno di far uscire i pensieri e presentarli digitalmente nella speranza che a qualcuno interessino - e li usi come concime.
"Ecco questo è il prodotto del mio intestino. Prendetene e leggetene tutti."
Le riflessioni si accumulano come prugne secche nell'apparato digerente metaforico finché non diventano troppe e portano a scaricare le proprie connessioni neurali in forma verbale.
La scrittura è un affare viscerale e ogni tanto capitano i momenti di stitichezza. Senti di aver dentro qualcosa di promettente ma alla fine è solo aria.
E ora sono qui che raccolgo pensieri come fossero margherite durante una lezione di Unno III.
Perché poi quando i fiori sbocciano dalla materia informe precendentemente definita "merda" tocca pure sistemarli.
E qui viene il difficile.
Ordinare le frasi e scegliere le parole è come l'ikebana.
L'ikebana è l'arte giapponese di disporre i fiori in modo armonico.
In questo faccio schifo - scrivo di getto e poi cancello tutto perché la composizione risultante è n pugno nell'occhio.
Mille occhi neri per presentare un bouquet che non vale nemmeno quello dell'ultimo rosario pakistano nelle strade buie del centrocittà della Desolazione.
In più aggiungiamo che la mia vita è un po' noiosa - e su questo forse tornerò più avanti - e che questo blog che era nato come narrazione umoristica sui generis di una vita vissuta noiosamente si era rivelato il diarietto di un sedicenne.
Da quest'amara constatazione - che devo ad una schiettissima trevigiana - sono partito nell'impresa di renderlo veramente collettivo (anzi Kollettivo) e mi sono smarcato dalle mie serate per fare discorsi più alati e magniloquenti sulla natura del più-e-del-meno e sulla dialettica del che-mondo-sarebbe-senza-demenza.
Per rimediare avevo pensato di macinare un po' di vita vissuta invitando delle amiche a cadenza settimanale a dei té in cui io facevo il Cappellaio Matto e una il Leprotto Bisestile. L'unica variante era l'Alice di turno che si sorbiva i nostri sproloqui.
Non ha funzionato però perlomeno mi distraggo un po' - a detrimento del tempo che potrei impiegare a prendermi avanti con lo studio.
La stitichezza si fa sempre più sentire. Dolorosa come il suono della lavatrice in modalità B-52 mi attanagliava da un po'.
Certe volte mi piacerebbe essere come il mio amico austro-calabrese che ogni mattino si reca in quello che lui chiama "ufficio".
Essere regolare e pianificato.
Ma non ci riesco dal momento che tutta la mia vita sono stato pigro ed impulsivo.
Così ogni tanto scrivo due post e poi mi blocco.
"C'est la vie" dicono di là dal confine.
Io sto qui grato a questa noiosa lezione di Unno a raccoglier pensieri come margherite e inventando metafore a casaccio in una composizione che farebbe inorridire qualsiasi maestro di ikebana.
Al prossimo pugno in un occhio.
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