CAPITOLETTO PRIMO
La luce di un lampo fece irruzione dal pertugio.
Subito dopo il tuono fece vibrare la terra.
Iniziò a piovere. L'acqua si faceva strada nella grotta, poco più che una tana di volpe.
Alcibiade si strinse al fucile, come se quell'arma potesse difenderlo dalle forze della natura.
Rimpiangeva il fatto che sarebbe morto senza ancora un pelo sul mento. Si chiese se lo scheletro di fianco a lui, con l'uniforme della Prima Guerra, fosse morto con una lunga barba.
Decise che non voleva morire annegato.
Strisciò fuori dalla terra come quei vermi che sperano di salvarsi dalla pioggia.
Si alzò, nella sua nuova divisa di fango, come un guerriero di Madre Natura, un soldato di nessuno, e si guardò intorno. Il fulmine aveva colpito un albero che ora splendeva di una chioma di fuoco. L'acqua e il fuoco combattevano una guerra millenaria, ben più sacra di quella che da qualche anno stava dilaniando l'Europa. Alcibiade stava ragionando di queste cose quando si rese conto dei passi di marcia che squassavano il fango. Non li aveva sentiti prima a causa dello scrosciare della pioggia.
Il nitrito di un cavallo.
Avrebbe preferito morire da verme.
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