lunedì 24 marzo 2014

Evangelisti, Roversi, Stark: piaceri e dispiaceri della lettura

 

Finalmente, dopo aver passato mesi a lavorare come un dannato per adempire ad obblighi che mai avevo contratto (ma da impiegati del Male dopo un po' ci si fa l'abitudine ai contratti capestro), mi sono preso una vacanza. L'ultima settimana d'inverno: zaino, libri e una sedia a sdraio sul litorale della Lapponia a brindare in maniche corte alla libertà.

Quella settimana ho letto tre libri, molto diversi tra loro nel contenuto e nella reazione scatenata. Questa è un breve riepilogo delle mie reazioni alla lettura di:

Paolo Roversi -Taccuino di una sbronza
Valerio Evangelisti - Il sole dell'avvenire
Freya Stark - Le porte dell'Arabia

Iniziamo da Evangelisti.

Valerio Evangelisti (d'ora in poi EV) ha scritto un gran bel romanzo, scegliendo di raccontare una parte della storia d'Italia che - a torto o a ragione - la scuola ignora abbastanza brutalmente: la bonifica della Romagna e la nascita del socialismo italiano, le sue divisioni in anarchici, internazionalisti e chi più ne ha più ne metta. Si potrebbe pensare ad una cronaca della seconda repubblica in certi passaggi.

La storia è fondamentalmente semplice: un bracciante-operaio-tuttofare perennemente disoccupato in miseria si sposa, ha un figlio e si mette continuamente nei guai, visto il temperamento garibaldino e la passione per l'alcool. Una serie di peripezie finirà per avvicinare sempre di più Attilio Verardini e la sua famiglia al socialismo.

Le migliori qualità di questo libro risiedono nella sua accuratezza storica, che è enorme, e nella proprietà linguistica dei dialoghi: i personaggi non sono sgrammaticati ma nemmeno dei professoroni universitari, alle volte parlano in dialetto pur rimanendo comprensibili.

Per concludere questa prima parte: un signor libro da leggere. Appassionante, emozionante, ben scritto. Io mi sono pure commosso un paio di volte. Fate voi.
[Avanti popolo!]

Passiamo a Roversi.

Roversi non lo conoscevo, mi è stato regalato. Paolo Roversi (PR) sembrerebbe essere il più grande esperto di Bukowski in Italia; Bukowski l'ho sempre istintivamente odiato. Sarà perché ho i miei autori folli - una volta che hai letto Burroughs tutti gli altri sembrano chierichetti; sarà che di cinismo e alcol scontati non me ne faccio granchè; sarà che ormai sono cresciuto con la fantascienza morale di Asimov e Vonnegut e di un ubriacone alle poste me ne frega ben poco se non si chiama Kilgore Trout; sarà che una mia ex mi aveva fatto due coglioni così con Bukowski.

Il libro è semplice fino all'inverosimile: la voce narrante porta a Dublino il suo migliore amico per una maratona alcolica stratosferica come addio al celibato; l'amico si prende la sbronza, va in coma etilico, si sveglia e sostiene d'essere Charles Bukowski. Si può immaginare il prosieguo: la fidanzata in lacrime, il matrimonio a puttane e così via...

Il libro è ambizioso e (udite udite!) non lo stronco. Ha dei punti a favore e dei punti a sfavore:
- la storia nel complesso è simpatica;
- cerca di raccontare un periodo della nostra storia recente ma lo fa un po' confusamente;
- è un po' giovanilistico e stereotipato nel presentare alcuni personaggi;
- è su Bukowski: se Bukowski non vi piace, difficile che lo apprezziate;
- è ambientato a Milano;
- l'italiano è buono.

Leggetelo se siete appassionati di Bukowski o se, come me, non c'avete un cazzo da fare.

(sorsata di caffé, rullo di tamburi, sigaretta accesa, stiramento braccia)

Arriviamo a Freya Stark.
 
Non so più che dio bestemmiare per rendere l'idea della mia esperienza con questo libro. Davvero, non ne ho più. Li ho passati in rassegna uno ad uno: a Gesù ho pisciato sullo zerbino, a Buddha gli ho spaccato le finestre di casa, Manitù...beh, diciamo che Manitù se la ricorderà a lungo.

Mi ha fatto incazzare dalla prima pagina. Saltellavo e imprecavo su una spiaggetta norvegese, ululando come un ossesso.

Io provo un profondo amore per la cultura araba. La trovo affascinante. Il problema è quando mi capita di leggere libri di questo tipo. Pubblicato nel 1936, questo libro è fondamentalmente il diario di viaggio di un'algida über-imperialista inglese sfigurata e pertanto zitella che si sente in dovere di ricodare a te lettore e al resto del mondo quanto siano superiori gli inglesi.

Tralasciando i punti in cui definisce i portatori "simili ad animali selvatici", il libro trasuda boria da Ancién Regime e Impero Britannico e "Yes, Your Majesty, abiamou ucisou tuti quei selvagi zulù" (fanculo - tiocfaidh ár lá!) da ogni poro.

Due ultimi punti prima che io vada a bruciare sto libro:
punto uno - è noioso; è fondamentalmente la storia di questa che va in giro a caso, a ficcanasare, a giudicare e a emozionarsi (if you know what I mean) per gli affari di ogni singolo arabo che le incrocia il cammino;
punto due - è una traduzione, non preoccupatevi dell'italiano. Non trovo null'altro di carino da dirvi su sto libro.

E ora...via col barbecue!

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