martedì 17 dicembre 2013

E i forconi non sono la mia rivoluzione, questa è la conclusione.








Scrivere questo post non è mai stato così difficile.
Venerdì siamo andati al presidio di Montecchio muniti di videocamera, pieni di interrogativi e magari perché no anche di pregiudizi.
Le risposte che andavamo cercando non le abbiamo trovate ma qualche certezza in più ora che tutto è stato metabolizzato inizia a formarsi.

Non mi pare sia il caso di iniziare una lunga speculazione che riguarda i veri orgnizzatori di questa protesta. E' un dibattito a perdere, senza vie d'uscita.
Potrei partire da una delle più grandi contraddizioni che attanagliano quel movimento: il fatto che operai e padroni  -termine fuori moda ma chiarissimo- si trovino a manifestare insieme.
Potrei esprimere dubbi sul comportamento delle forze dell'ordine a mio avviso troppo permissivo.
Sono tutti punti sacrosanti, giusti e che richiedono dei chiarimenti ma il vero punto a mio avviso non è ancora centrato.

Mi viene allora in mente la nascita di Kollettivo Ferramenta. La voglia di scrivere, la paura e la vergogna di mettere in rete i propri pensieri, il desiderio di formare un collettivo di persone e di giovani uniti dallo stesso desiderio di partecipazione.
Dopo un anno non posso che sorridere, eravamo in due ora in dodici. Il progetto decolla e non ce ne stiamo accorgendo.

E i forconi?
E i forconi non sono la mia rivoluzione, questa è la conclusione.

Non lo sono perché la mia idea di cambiamento non è quella.
Non un ritorno al passato ho in mente. Sono convinto che una vera rivoluzione prima di scendere in strada travolge le culture, modifica i valori.  
Guardiamo allora questo movimento non bene identificabile, quale cambiamento viene proposto se non un ritorno a qualcosa?
Il cambiamento che ho in mente non torna indietro, guarda avanti e rilancia anche se consapevole - forse anche troppo- della nostra storia.

Guardare alla crisi con rabbia è più che sacrosanto, essere preoccupati è naturale ma non basta.
La crisi può essere perché così è sempre stato, occasione di vero cambiamento.
La crisi non è solo crisi economica, ripensiamo al nostro paese.

Noi siamo quelli che in Europa si informano di meno, siamo quelli che tra un libro e la TV scelgono la seconda, siamo quelli con la classe politica peggiore, con i giornali peggiori. Basta questo o vogliamo parlare anche di mafia, di corruzione o di evasione fiscale?

E' da questo dato che preferirei partire. Se in uno stato come il nostro, dove basta uscire di casa per annusare storia e cultura, quasi il 50% degli italiani non ha letto un libro nell'ultimo anno e tra questi molti leggono le barzellette di Totti o le ricette di cucina, dove vogliamo andare?

Di cosa mi stupisco dunque, perché star qui ad aprirsi la testa per cercare di capire dove stiano andando a parare i forconi.
Poi torna la crisi, poi ci sono i disoccupati, poi c'è la povertà vera. Con questi discorsi si rischia sempre di passare per radical chic.

Ma io i cortei per difendere la scuola pubblica li ho sempre fatti, e poi anche all'università e poi anche contro il Dal Molin e tanto altro ancora. Parlavamo di crisi culturale, tentavamo di smuovere la sindrome da Italiano medio che imperversava nelle nostre città perché il rischio poi sarebbe stato questo: crisi nera, sofferenza, disoccupazione, nascita di movimenti populisti. Bene, oggi forse ci siamo arrivati.

Forse allora le cose sono dannatamente più semplici ma più gravi di quello che pensavo.

Quando ciò che si temeva non era alle porte tutto rimaneva quasi un gioco. Il nemico non è ma sarà alle porte quindi per ora state tranquilli.
Il nodo è arrivato al pettine, i forconi forse ne sono una prima magari occasionale avvisaglia.

Che fare oggi?
Oggi credo che ognuno di noi debba ripensare al proprio percorso per provare un rilancio. Non è il momento di indugiare.

Per conto mio e credo di parlare anche a nome dei miei compagni di viaggio, delle idee le abbiamo e ci stiamo provando. Ognuno con le sue armi dunque, con le proprie attitudini.
Impugno volentieri l'arma della cultura perché questa è la mia convinzione, questa spero la mia attitudine.

Documentare, discutere, diffondere iniziative, allargare il nostro collettivo, fare cultura con i nostri post e video da dilettanti e sognatori. Seguire le istanze di chi vuole un vero cambiamento è la strada maestra e con i nostri limiti lo faremo perché questa è la nostra stupida idea di rivoluzione.

Credo sia netta la distanza tra questo tipo di pensieri e i forconi.

Noi il cambiamento lo sognavamo già da tempo.
Oggi è ancora tempo di sognare ma dobbiamo farlo ad occhi aperti.



1 commento:

  1. La rivoluzione senza sogno non esiste, e il seme della rivoluzione è dentro alla nostra anima, cresce solo se acccettiamo di comprendere, di studiare, e di essere noi il ca biamento. Forza credi in quello he fai e non temere

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