martedì 16 aprile 2013

Vivere con lentezza

 


Il mio segno è la Tartaruga.
E non una qualsiasi. Una metafisica.
Grande e grossa e che si muove alla velocità di suor Bradipa al rallentatore.

Perché a me piace vivere con lentezza.
Non c'è gioia più grande di buttare via una giornata a fare cose in modo sgraziatamente scoordinato che fatte come si deve occuperebbero un paio d'ore al massimo.
Tipo pulire casa per renderla decente il giorno prima che arrivino amici:
madre di famiglia 2 ore
Ugo 6 ore e 1/2.

Perché ovviamente mi perdo via con le stronzate.
Piante contro zombie e sigarette e scrubs e il libro e devo cucinare e devo andare in bagno.

Però - soprattutto quando il Generalissimo latita o è impegnato a portare in giro i ghiacciai per la passeggiata annuale - questo è un grandioso antidoto alla noia e all'alienazione.

E questa filosofia di vita si applica a tutto con risultati alle volte assurdi.
Esempio: il karma ha deciso di punirmi facendomi capitombolare giù dalle scale di quella che ci ostiniamo a chiamare facoltà anziché reparto psichiatrico.
(Poca roba - uno scalino e mezzo)
Sono atterrato col ginocchio e sono due giorni che passeggio come il capitano Achab - terrore dei mari, dei capodogli e delle Pantere.
Questo è ovviamente fonte di disagio per lo zoppo (io) e per tutti gli involontari partecipanti al mio seminario "Semiologia dell'andamento traballante: uno studio antropologico della zoppìa nelle opere di Shakespeare".
Chi va con lo zoppo si laurea in triennale in zoppìa acuta.

Però (ed è un però delle dimensioni di Moby Dick) questo piccolo inconveniente mi rallenta la camminata tendenzialmente frenetica e insostenibile. Quando sono rilassato e non di fretta.

Allo stesso modo un approccio lento alla burocrazia e ai compiti quotidiani aggiunge emozione alla propria vita.
Fare le corse per pagare le bollette è disagio allo stadio puro ma scuote la leggera apatia che come ruggine questa società deposita sulle nostre vite.

I futuristi - che nascevano in una società statica e immobile e un po' deterministica - esaltavano la velocità.
Io pur non avendo la pretesa di fare il futurista esalto la lentezza come sovversione e come scandalo.
Con tutto quello che c'è da fare te la prendi anche con comodo?
Sì.
E non me ne vergogno.

La velocità di questo mondo serve ad uniformare ed appiattire. Nessuno ha tempo per essere se stesso - figurarsi esserlo con gli altri.
Essere lenti e sedimentare e abbandonare dietro di sé una sottile striscia di sassetti che in migliaia d'anni diverranno una fertile pianura.
Questo è essere lenti.

Prendersi il proprio tempo.
Per questo - e ora faccio una confessione privata che rimarrà tra me e i miei 15 (forse!) lettori - rifiuto l'uso delle virgole.
Non per stile.
Le virgole sono il lubrificante del discorso. Il discorso senza virgole è un po' affannoso. Ha quasi il fiatone.

Ma ha un vantaggio: costringe me e voi a pensare.
Me a pensare a come diavolo unire due frasi senza virgole e andare per la mia strada senza perdere pezzi.
Voi a cosa diavolo significa ciò che sto scrivendo.

Volete un consiglio?
Se pensate ne valga la pena (qui ci vorrebbe una virgola ma ve ne ho già regalata una all'interno di questo post. Divertitevi a trovarla) prendetevi quei cinque minuti in più.
Altrimenti mollate tutto e iniziate a studiare che è meglio.

Alla prossima virgola. Ma senza fretta.

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