martedì 25 novembre 2014

È ri-nata una stella



Questa foto mi ricorda quella più famosa, divenuta simbolo della seconda guerra mondiale, del soldato russo che il 2 maggio 1945 issa la bandiera rossa sul Reichstag di Berlino.
Si tratta di una guerra, per quanto non violenta, quella condotta da un nutrito gruppo di studenti di Belgrado che, la notte di venerdì 21 novembre, hanno riconquistato lo storico cinema Zvezda (Stella, in italiano) chiuso ormai dal 2007.
Si fanno chiamare Movimento per l’occupazione dei cinema e il loro simbolo è una mano che stringe un brandello di pellicola. La loro guerra si combatte sul piano culturale e ideologico per riconquistare uno spazio di espressione in un paese macerato politicamente ed economicamente che lo spazio per la cultura proprio non lo trova, pur avendo esempi di portata internazionale (i vari Kusturica, Paskaljević, Serbedžija, solo per parlare di cinema).

“Siamo troppo giovani per la nostalgia [per la Jugoslavija, NdA] e troppo vecchi per aspettare. Tempi migliori non arriveranno, si costruiscono dove si è e con quello che si ha. Troppo a lungo abbiamo guardato cinema svenduti, musei putrefatti, biblioteche in rovina, l’arte che diventa merce, beni culturali che diventano proprietà private e persone che si trasformano in consumatori di messaggi banali. […] La sala del fu cinema Zvezda è l’immagine della cultura nella Serbia di oggi: fredda, scura e vuota. Su queste rovine apriamo il Nuovo Cinema” è la dichiarazione di Mina Đukić e Luka Bursać, due rappresentanti del Movimento nonché giovani registi, alla stampa nazionale.

E così già da sabato mattina sono iniziate le operazioni di pulizia con grande partecipazione di volontari e della cittadinanza, disposta a sostenere i giovani con aiuti economici e pratici.
La polizia ha fatto capolino, controllato i documenti e si è defilata, di fatto legittimando l’azione di occupazione. La sala è tornata agibile in tempo per la proiezione di Neposlušni (I Disobbedienti, 2014) della Đukić, che verrà ufficialmente presentato all’imminente Festival del Cinema d’Autore di Belgrado ma che già fece successo a gennaio al Sundance Film Festival.
Circa 300 persone sono accorse a vedere il film. Tra gli spettatori vi era anche il pluripremiato regista Goran Marković, dal ‘79 insegnante di regia all’Accademia di Arti Drammatiche di Belgrado.
Ha dichiarato: “Questo non è solo un cinema, è il paradigma di tutto questo paese e del valore che ha la cultura nelle nostre vite”.

Il Movimento è deciso ad occupare il cinema ad oltranza. 200 attivisti presidiano il cinema giorno e notte. È stato pianificato un programma di proiezioni di film nazionali, indipendenti e giovani per tutta la settimana.
Il nome del Movimento, con l’ultima parola al plurale [anche se in serbo potrebbe essere sia plurale che singolare alludendo quindi a una più ampia liberazione intellettuale del mezzo cinematografico oltre che a una liberazione fisica delle sale, NdA] si propone di occupare e riabilitare allo stesso modo altre delle 19 sale attualmente non in funzione a Belgrado e destinate ad essere riqualificate per altri esercizi commerciali.
Pare che non siano rimasti cinema attivi di città. Le uniche sale a disposizione sono quelle dei multisala dei centri commerciali, farciti di blockbuster privi di identità.

Gli occupanti trovano diversi colpevoli nel ricostruire la faccenda ma uno su tutti è Nikola Đivanović che nel 2007, in seguito alla violenta privatizzazione della Beograd Film, proprietaria di 14 dei 19 sopraccitati cinema, ne ha comprato il 70% per 9.2 milioni di euro, una cifra irrisoria diranno gli esercenti nostrani, salvo poi vendere 5 sale l’anno successivo per 19 milioni. Inutile, ma doveroso, dire che il personaggio in questione nel marzo del 2011 è stato arrestato per evasione fiscale e condannato a tre anni.
Le sale sono state abbandonate alla rovina. Nel 2012 un altro cinema, il Kozara (che riecheggia di mitologia titina) brucia in un incendio.

Quale può essere il futuro quindi per i giovani cineasti in paese dove non esistono sale cinematografiche? Me lo chiedo perché in terra italica la situazione non è molto diversa. Quanti cinema di città sono stati cancellati dall’avvento dei multisala e brutalmente trasformati in negozi, bar o più spesso in cimiteri di poltrone? E mi chiedo quanti studenti italiani avrebbero l’interesse e il coraggio di replicare un’azione come questa?

A questo punto l’azione in questione non sembra più la presa del Reichstag, né tantomeno quella del Palazzo d’Inverno, bensì l’occupazione di una fabbrica da parte dei suoi operai. Un tentativo di collettivizzazione del substrato culturale.

Il manifesto del movimento recita: “Chiediamo attenzione, consapevolezza e informazione. Chiediamo coraggio e nobiltà d’animo. Il fatto che la cultura stia morendo non vuol dire che dobbiamo lasciarla morire. Le idee non hanno prezzo e devono sempre essere forti. [...] Non siamo qui e il cinema è nostro”.

Insomma, la Resistenza continua.

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