lunedì 26 ottobre 2015

CIAO NINÌN.




Bernardo Marchezzolo - Ninin



Un giorno feriale di nebbia, il miracolo della vita.
 E' una mattina fra le tante con il tragitto pronto; esco di casa e l'aria puzza come al solito di fabbriche vicine, il freddo la rende familiare ai polmoni ancora abituati a quella calda del letto. Così come ogni ragazzo della mia età, la scuola. Amata od odiata che sia, rispettata o meno, ne disprezzavo l'insegnamento primo: organizzare il giovane alla routine settimanale, prepararlo ad un qualche valore alienante. Questa era ed in parte è ancora la mia convinzione sulla scuola dell'obbligo, in poche parole la odiavo. Quella mattina però, quella solita mattina feriale accompagnata dalla nebbia, qualcosa mi spingeva a scendere dal letto con meno fatica.

Stava li nel bel mezzo dell'aula magna del mio istituto, visibilmente a disagio, ordinariamente vestito d'eleganza. Il Novecento: guerrafondaio, mondiale, ideologico, divino. Il partigiano, figura semi sconosciuta stava li ad osservarci. Cosa vuoi che sia la guerra per chi l'ha giocata con i fucili di legno, dappertutto e senza ritegno alcuno, senza fare prigionieri ovviamente, comunque con un unico nemico: i tedeschi.
L'importanza del gioco della guerra l'avevo imparato ancor prima, in quei cortili gialli della scuola elementare, fra i cespugli; mestiere essenziale quello del giocatore soldato e per questo si che ringrazio la scuola: per la guerra a ricreazione.
Poi le spalle iniziano a sopportare pesi più grandi, la testa si nobilita - concetto non valido per tutti- , il cuore inizia a godere di correnti calde di pensieri alti.

Stava li e ricordava tanto mio nonno, la domenica mattina così istituzionale, ogni cibo di stagione, l'autunno arancione, la verde primavera, la sedia fuori dalla porta d'estate: la pensione perché prima il lavoro, perché prima ancora la guerra da giovane, sconosciuta ai più, praticata da nobili gentili e da orchi di professione.
Quanta eleganza nelle semplici parole, ad ogni ricorrenza con il cappello in testa, un senso al tricolore che proprio in questi giorni sventola ad ogni lampione.
Ci ritrovo la resistenza che serve, il necessario vigilare sull'ingiustizia, la rabbia che salva. La giustizia sociale.

Ritrovo in te un motivo semplice per restare, perché fiero a tratti del mio paese; perché le parole d'ordine della resistenza esigono umanità, e una battaglia quartiere per quartiere contro ogni disuguaglianza, e la necessità di farsi movimento, e di vegliare una comunità non più comunità: questo il fascismo più grande, la creazione della differenza. 
Tu, che neanche ti conoscevo, e quanto avrei voluto accendere per te il fuoco per non affaticarti, mi rappresenti.
Non perché uomo, figuriamoci perché politico che non sei. Hai rappresentato il modo giusto di stare al mondo con il mondo, la semplicità necessaria, la storia bella di un paese meraviglioso.
Mi rappresenti,Ninìn salito al cielo, ed è da ieri che mi commuovo a pensarti.
Ma se ci senti, proteggici, e se ci senti bene sappi che qui giù non è mica finita, che nonostante tutto i compagni esisteranno sempre, e vegliano, e partecipano anche se è più comodo vedere chi non lo fa, e cambiano ancora questo mondo.
Se ci credi, noi qui si fa fatica ma ci proviamo, come hai fatto tu alla nostra età.

Cose piccole per carità, ma di cose piccole non si muore ,anzi, si cambia il mondo. Noi ci crediamo, a ciascuno la sua battaglia, la sua storia: a noi questa realtà.
Per questo e per molto altro ancora domani mi sveglierò presto, mi vestirò elegante come facevi tu e verrò a ricordarti. Con te, ci saremo noi.
Grazie Ninìn.
Un vecchio semplice.
Un partigiano.
Un Innamorato.

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