lunedì 14 luglio 2014

Sai cosa ci fa un blogger sotto un cedro? #3



Nuvole e malattia a Beirut

La colonna sonora della settimana è Fabrizio de Andrè, in particolare gli album "Anime salve" e "Le nuvole". Dopo un'inizio scoppiettante si sono manifestati i primi sintomi di malinconia - probabilmente dovuti al fatto che dormo pochino per i miei gusti (non abbiamo le tapparelle in camera) e alle tre ore di lezione più le due (minimo) di studio autonomo al giorno.

Dov'ero rimasto?
Ah sì. Il fine settimana scorso non è stato granché emozionante: venerdì sono uscito con Kamil (Polonia - CONVERTITEVI!), Martin (Olanda) e Virginie (Francia); siamo andati alla moschea Al-Amin, ad un'esposizione d'arte, in un bar fighetto e poi semplicemente abbiamo proseguito la serata bevendo.

La moschea.
La moschea al-Amin è gigantesca. L'atmosfera all'interno è quella che ti potresti aspettare da una biblioteca universitaria: temperatura più o meno gradevole, gente concentrata e gente che dorme, l'occasionale cellulare che suona...quello che mi ha colpito sul serio era l'atmosfera di pace che si respirava. Si vedeva chiaramente che a parte noi ogni persona lì dentro era venuta col preciso intento di trascorrere un po' di tempo con sé stessa e con il proprio dio (che esista o meno) -così diverso, a prima vista almeno, dalla chiesa cattolica come luogo di incontro e socializzazione: sarà forse dovuto alla differente cultura? D'altra parte noi viviamo in società profondamente atomizzate e accelerate, al punto da non poter più neppure prendere una boccata d'aria in santa pace; la mia impressione è che qui il tempo trascorra diversamente, il lavoro, certo, ma una sana dose di socialità non te la cava nessuno e guai a tentare di sottrarvisi: pertanto andare in moschea è forse uno dei pochi momenti in cui essere davvero soli con sé stessi. Forse.
Ricordo con particolare piacere l'impegno profuso nel pregare da un bambino che avrà avuto si e no 7 anni, accompagnato dal padre: concentratissimo, seguiva a distanza di un secondo ogni movimento del padre al suo fianco, salvo poi terminata la preghiera rotolarsi sui tappeti, guardando il soffitto e immaginando chissà cosa...

Il sabato è rotolato via alquanto noioso - a parte un paio di birre, nulla di ché.
Domenica mattina invece ci siamo alzati presto: alle 9.30 eravamo tutti schierati con le occhiaie che toccavano terra al bancone del Café Em Nazih (lett. "il caffé della mamma di Nazih"), a berci un sacrosanto té, mangiarci una mannouche e via, verso Byblos, verso il mare!
La nazionale "Villeggianti" era composta dal vostro Ugo, i summenzionati Kamil e Martin, con le new entry Marianne (Francia) e Julius (Danimarca - qui sembra che non ci siano altro che scandinavi!).
Saltiamo su un bus - che rapidamente si riempie fino a scoppiare - e zigzaghiamo nel terribile traffico che cinge i km di autostrada attorno a Beirut. La guida dei libanesi farebbe impallidire qualsiasi autoscuola napoletana, ma dopo un po' ci si fa l'abitudine.

In un'ora e un quarto arriviamo a Byblos: ci sbarcano in mezzo all'autostrada, un inferno rovente alle undici e mezza della mattina. In dieci sofferti minuti arriviamo finalmente alla spiaggia: mare! Mare! Dolce, amato Mediterraneo!

Dopo aver trascorso un'oretta sotto il sole a picco e le onde gigantesche (perlomeno per me innocente habitué dell'Adriatico) ci siamo diretti verso il centro - turistico, certo, ma molto molto bello.

Pranziamo, ci dedichiamo all'esplorazione e visitiamo la zona archeologica. Prima tappa, la cittadella crociata, dove le pietre risuonano ancora delle spade lunghe cristiane che cozzano contro le scimitarre dei soldati del Saladino. Perdere la prospettiva qui è questione di un attimo ed è sempre una piacevole esperienza; a proposito di cose perse, passano appena dieci secondi e perdiamo l'unica ragazza del gruppo, finita chissà dove; è il segnale tanto atteso: finalmente possiamo sfogare tutta la nostra repressa mascolinità - sai ruttare a comando?, e scoreggiare? - facendo la figura dei bimbini in gita scolastica. Che liberazione!

Raggiungiamo una meravigliosa casa sulla scogliera e ci sediamo a meditare qualche minuto all'ombra di quest'abbandonata dimora, quando la nostra metà del cielo collettiva ci raggiunge e inizia una discussione su architettura, ONG e Palestina...

Dalla scogliera è possibile scorgere il meraviglioso porticciolo di Byblos e decidiamo di andare a bere un caffé lì, in faccia al mare e al venticello che si è levato a salutarci. Come da tradizione finiamo nel posto più esclusivo del circondario, ma non ci lasciamo scoraggiare: io decido, in barba a tutta l'atavica prudenza di generazioni di italiani, di ordinare un espresso; la francese un caffé turco; gli altri tre un "White coffee", nella speranza di trovarci dentro un po' di latte. Inutile dire lo sconforto che si dipinge sui loro volti quando si vedono recapitare delle tazze di acqua calda con dentro dell'aroma di fiori d'arancio che faceva sembrare il tutto un bicchiere di detergente!

Dopo qualche bagno e un veloce spuntino siamo montati stanchi ma felici su un bus diretto a Beirut che si sarebbe rivelato un'altra esperienza alquanto terrorizzante: l'autista infatti passava da un'Almaza (la birra locale) all'altra mentre guidava nella congestionata viabilità libanese...

Il resto dela settimana è decisamente meno emozionante: tra una lezione e l'altra e la febbre che mi uccide il mercoledì, il giovedì (sono costretto a saltare le lezioni) e il venerdì, non lascio l'ostello quasi neanche per comprare le cicche...

PICCOLA NOTA SUL RAMADAN

La mia esperienza riguardo il ramadan è molto, molto limitata. Lo premetto, così che a nessuno venga in mente di prendere le mie parole per oro colato.

Ho sempre pensato che il ramadan fosse una tradizione insulsa e masochistica dettata da una religione onnipervasiva e ossessionata dal controllo dei propri fedeli. Quello che ho visto, girando un poco il Libano, mi ha fatto in parte ricredere. Il mese di Ramadan è un periodo che l'uomo concede a sé stesso più che a Dio, è il momento in cui ci si rifugia in sé stessi, si pratica un digiuno che non è tanto una mera questione di astinenza dal cibo, quanto un'astinenza dal mondo materiale. Ci si confronta con la propria vita e ci si sforza di imitare quanto più possibile un ideale di purezza - nei pensieri e nelle azioni; è un immenso sforzo collettivo e individuale allo stesso tempo ed estremamente gioioso. Ramadan significa cercare di mostrare la parte migliore di sé.

Tutto questo è qualcosa che la nostra società del consumo e dell'eccesso ha strappato dalle nostre vite: produci consuma crepa - e guai a te se ti fermi.

Non fraintendetemi: la religione islamica è per me una religione come tutte le altre: un ammasso di stupidaggini che non stanno né in cielo né in terra e che non gode di alcun rispetto da parte mia. Ma che ci sia una società (in questo caso molte) ancora capace di inchinarsi ai ritmi del divino in barba ai ritmi del commerciale...beh, questo sì un po' di rispetto lo riscuote.

2 commenti:

  1. Sentire il contatto con il proprio divino ( che non e la religione ) è necessario come mangiare, respirare, amare, chi lo trova sarà preservato dall'addestramento di qualsiasi potere, sarà un uomo libero capace di scegliere.

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  2. Cercare il proprio divino è necessario come mangiare, respirare, amare, chi è capace di sentirlo non si farà addomesticare dai poteri di turno e sarà un uomo libero. Oggi abbiamo la necessità di avere uomini e donne con menti e cuori liberi solo così si potrà pensare ad un mondo più sano, cominciamo a credere che sia possibile,

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