martedì 4 settembre 2018

Geografie



Queste poche poesie nascono nel 2015, quando volge al termine il mio biennio in fuga

Nascono in uno sperduto paesino a 40 minuti da Monaco, dove l'avvento del nazismo lo capisci finalmente davvero. C'è un'aria di omogeneità etnica, di tradizione secolare, di noia.
Sono solo, intrappolato in un tirocinio del quale non me ne potrebbe importare di meno e il quale calorosamente ricambia.
Sono solo, in una stanza della servitù di un albergo in centro senza uso cucina e che mi mangia mezzo stipendio in due mesi. Arredamento spartano: un letto, una sedia, un microonde che i vicini mi lasciano cortesemente utilizzare, in corridoio, accanto al frigo. Mi nutro di pizza, piatti pronti, insalatone e una volta alla settimana della cucina bavarese che offrono un paio di ristoranti. Le cameriere arrivano a prendermi in giro, in tedesco.

In que momento nascono queste poesie, che non sono neppure tra le mie preferite, ma che mi servono a ripensare alcuni rapporti umani che sto lasciando andare alla deriva. Al lavoro, sul quale poi tornerò per raccontare prossimamente il cambiamento di prospettiva avvenuto in questi ultimi due anni.
Nascono così quattro poesie tedesche: tre tristi, che rispondono al senso di fallimento che avvertivo e alla mia antipatia per il lavoro; una, unica e forse per questo la mia preferita, è un inside joke, una piccola offerta di pace travestita da insulto.

Fine della manfrina.

UN APPELLO ACCORATO

Maledetta!
Non guardarmi
con quei tuoi occhi
che ridono
sempre
- lo sai che non sono gioioso
e mi fai invidia.
Non farmi
certe domande!
Non vuoi sapere le risposte,
credimi.
Io ormai soffro
di una malattia cronica
dalle droghe
inespugnabile
e tu ogni tanto me l'aggravi.
Maledetta!
Nata sotto una stella
piacevole
tormenti me,
figlio d'una galassia minore.
In parte è colpa mia:
questo succede a mischiarsi
con quelli che san essere felici
mentre io sfoggio
l'irritazione e la malinconia
come la blusa di quel tale
che perferì la rivoltella
alla felicità generale.

Capiscimi:
non te ne voglio.
Solo alle volte, fatti un po' in là,
che fatico a respirare.


A PRESTO

Ciao.
Io vado.
Cammino in punta di piedi
all'indietro
ché tu non mi possa seguire.
Confondo la mia scia
nei sentieri segreti
dei boschi
cerco rifugio
tra le frasche
e non mi paleso
per evitare che mi riporti a casa
un tuo sorriso.
Devo viaggiare
e il mio volere
è una piuma nel vento.
Mi avresti voluto
una farfalla sotto vuoto
bimbo ubbidiente che dorme a comando
sogno cinematografico
in cui tutto ha senso.

Io ne ho avuto orrore
e son fuggito,
risparmiando a me e te
la pena.
Quando s'è presentato
l'attimo tanto propizio
ho taciuto
ho preferito
il moto alla quiete
lo struggimento alla felicità
la tempesta alla bonaccia.

Per questo ti saluto ora
che parto ancora
un po' vigliaccamente
per non affrontarti.
Per non appesantirti
per non ancorarmi.
Era ancora
prematuro.
          A presto.


FRETTA

Ho perso il ritmo,
per questo corro sempre
come un maratoneta.
Il peggio è quando in realtà
non sono neanche in ritardo.

Come un corridore
mi sento solo nella mia corsa,
una nave che solca le onde
e come compagna
ha solo la sua scia.

Ho dimenticato
come si tiene il tempo
al guinzaglio
e la museruola la porto io:
si chiama fretta.

Chi ha più tempo
per guardare i fiori?
La produttività
non ammette
altro padrone all'infuori di sé.

SPECCHIARSI

Abbiamo visto giorni migliori.
Non lo nascondo io
e non hai pretese tu.

Ti sei appesantita:
sarà l'amore?
Io ho delle occhiaie tremende:
è la noia.

Gli specchi ci rimandano
le facce di due brutti ceffi,
la barba mia e il naso tuo.

Tutti tranne quello in camera tua:
in quello - e in quello solo -
mi vedo ancora un figo.

Neanche degli specchi
ci si può più fidare.

Ah, che robe!

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